Dune: Part one
La nuova trasposizione del ciclo immaginato da Frank Herbert, che ha influenzato pesantemente l'immaginario fantascientifico, cerca una propria via personale ad una specie di blockbuster d'autore.
Trama:
In un futuro lontano le varie casate reali si battono per il controllo del pianeta Arrakis sul quale abbonda la “spezia” essenziale per i viaggi interstellari. Arrakis, detto anche Dune, che sino ad ora è stato sotto il controllo dei crudeli Harkonnen da poco è stato donato dall’imperatore agli Atreides.
Quando si scoprirà che tale dono cela un inganno, il giovane Paul Atreides dovrà andare incontro al suo destino, in quel deserto di Dune nel quale vivono i Fremen che da secoli attendono un Messia che li liberi.
Cast:
Timothée Chalamet – Paul Atreides
Rebecca Ferguson – Lady Jessica Atreides
Oscar Isaac – Duca Leto Atreides
Josh Brolin – Gurney Halleck
Stellan Skarsgård – Barone Vladimir Harkonnen
Charlotte Rampling – Gaius Helen Mohiam
Dave Bautista – Glossu “Bestia” Rabban Harkonnen
Zendaya – Chani
Jason Momoa – Duncan Idaho
Javier Bardem - Stilgar
Dune, il primo libro della saga immaginata da Frank Herbert, uscì nel 1965. Nei decenni trascorsi da allora, il ciclo di romanzi non ha mai smesso di esercitare la sua influenza soprattutto sull’immaginario fantascientifico.
Inoltre, nel corso degli anni, abbiamo avuto una prima trasposizione cinematografica diretta da David Lynch nel 1984, due miniserie televisive ed infine, in ordine temporale, Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich che documenta il fallito tentativo di trasposizione cinematografica concepita da Jodorowsky negli anni settanta.
Denis Villeneuve, nell’approcciare nuovamente l’opera di Herbert, quindi si è trovato di fronte una prima sfida, ovvero dover fare i conti con un immaginario, tanto narrativo quanto cinematografico, preesistente ed ampiamente diffuso.
Anche perché nei titoli citati sino ad ora manca il film che, più di ogni altro, ha attinto a piene mani dall’opera di Herbert, ovvero Star Wars.
George Lucas non ha mai nascosto di aver preso molte idee dalla saga di Dune.
Prendiamo ad esempio l’organizzazione delle Bene Gesserit, una sorellanza esoterica che da anni opera una selezione genetica per dare alla luce il Kwisatz Haderach, una sorta di “Messia” (semplifichiamo al massimo) e che è esperta nell’uso de La Voce, il che gli permette di arrivare a soggiogare la volontà altrui.
Difficile non vedere parallelismi tra questa organizzazione e gli Jedi, così come tra il “Messia” e colui che riporterà ordine nella forza.
Lo stesso concetto di Forza sembra una derivazione de La Voce.
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, gli stessi vermi che vivono sotto la sabbia di Arrakis sono stati, ad esempio, l’ispirazione primaria di Tremors (1990) di Ron Underwood.
Il tutto per tacere del materiale immaginato da Jodorowsky e finito un po’ ovunque.
Insomma Villeneuve ha dovuto trovare una propria visione che evitasse di cadere nel già visto o di finire imprigionata nella fitta rete di furti avvenuti nel corso degli anni ai danni della saga letteraria.
La sua risposta sembrerebbe essere quella, se così possiamo dire, di un blockbuster autoriale.
Da una parte, infatti, il regista ha costruito, almeno nelle intenzioni, uno stupefacente spettacolo visivo.
I paesaggi del Wadi Rum fanno da sfondo perfetto a questa avventura e da contrappunto ai paesaggi piovosi in cui si muovono gli antagonisti.
In tale contesto scenografie e costumi, per contro, propendono verso una rigida essenzialità geometrica sottolineata anche dalle scelte cromatiche, spesso tendenti ad una sostanziale uniformità di fondo, in cui ogni colore contraddistingue un particolare paesaggio.
Insomma tutto è grandioso e minimalista al tempo stesso.
Una sorta di contraddizione in termini che prosegue anche sul piano dell’azione vera e propria.
Innanzitutto perché Dune: part one, come suggerisce lo stesso titolo originale, mette in scena solo metà del primo libro e dunque è una sorta di grande introduzione a ciò che accadrà.
Inevitabilmente quindi l’attenzione, più che sull’azione vera e propria, è concentrata sul cercare di mettere in scena le complicate coordinate nelle quali si muoverà un universo narrativo tanto vasto quanto complicato.
Forse anche per questo il ritmo di questa prima parte è lento, di una lentezza che a noi è parsa esasperante.
Villeneuve non pare in grado di controllare il vasto materiale con il quale ha a che fare.
Spesso il suo film si perde in sequenze inutilmente lunghe e la volontà di dare un taglio autoriale al tutto finisce per dare vita a dialoghi che, forse vorrebbero essere profondi e che invece risultano solo noiosi.
Lo stesso dicasi di troppi personaggi che alla fine appaiono privi di spessore.
Insomma Dune: part one vorrebbe essere un blockbuster maturo e profondo, capace di unire discorsi profondi e spettacolarità e pare fallire su entrambi i fronti.
La spettacolarità è ridotta ai minimi termini ed il resto latita proprio.
Resta da dire sull’impianto ideologico di fondo, altrettanto complicato.
Da una parte infatti abbiamo un pianeta, Arrakis, sul quale abbonda una risorsa (la Spezia), abitato da una tribù autoctona (i Fremen) alla quale è stato tolto tutto; dall’altra i vari sfruttatori che nel corso del tempo hanno arraffato tutto il possibile.
Insomma l’occidente colonialista da una parte ed il terzo mondo dall’altra.
Il problema sorge nel momento in cui Arrakis viene data agli Atreides i quali cercano un compromesso con i Fremen.
Chissà se si tratta anche in questo caso di una metafora critica nei confronti di certi goffi tentativi di “esportare la democrazia”.
Sullo sfondo di tutto ciò i Fremen, rappresentati chiaramente come un mix tra Berberi e Tuareg con evidenti richiami alla fede islamica e soprattutto il protagonista assoluto della saga, Paul Atreides, futuro Messia.
Un liberatore che darà (forse) vita ad un jihād in suo nome e che, almeno per il momento, non appartiene al popolo Fremen.
Risulta difficile a questo punto, capire “da che parte sta” Villeneuve visto appunto che, ancora una volta, la liberazione degli oppressi sembra passare da un condottiero straniero, come se fosse impossibile immaginare una reale autodeterminazione dei popoli oppressi e toccasse sempre a noi, Occidente saggio e sotto sotto moralmente superiore, provvedere appunto ad esportare la democrazia.
Staremo a vedere se e quando uscirà la seconda parte.
EMILIANO BAGLIO