Manodopera. Interdit aux chiens et aux italiens.
Un film che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo con le armi dell'animazione e della poesia.
alain Ughetto parte da sé stesso, dalla passione, coltivata sin da bambino, per la plastilina, la stessa che ora a 68 anni di età lo ha portato a realizzare Manodopera; il suo secondo film di animazione a passo uno.
Si mette direttamente in scena interagendo con i personaggi della sua storia, rompendo la quarta parete e mescolando animazione e realtà.
D’altronde quella che racconta è la sua biografia, o meglio la storia dei suoi nonni; Cesira e Luigi.
La molla che lo ha spinto a percorrere questo viaggio è stata la curiosità di scoprire cosa fosse stata sua nonna prima di essere tale, la donna che si nascondeva dietro quei vestiti neri di anziana ma anche, come ha raccontato più volte, di andare alla ricerca del paese di cui gli parlava sempre il padre; Ughettera.
Di Borgata Ughettera, come si vede nel film stesso, oggi restano un pugno di case in rovina ai piedi del Monviso.
Da qui mossero i loro passi agli inizi del ‘900 i nonni del regista ai quali Ughetto si rivolge direttamente parlando con il pupazzo di Cesira come se fosse ancora vivo.
Interrogare il proprio passato, ricostruire la propria storia, riscoprire chi si è e da dove si viene ed attraverso la propria biografia raccontare il passato di un intero popolo e di una nazione; questa l’operazione compiuta da Manodopera attraverso i mezzi poetici dell’animazione, con grazia lieve senza mai cadere nella retorica.
Quella della famiglia Ughetto è la storia di tanti italiani, nati e cresciuti in condizioni di povertà e costretti ad emigrare.
Manovali, maniscalchi, ciabattini, italiani pronti a tutto, a valicare le Alpi di nascosto e a lavorare come cani anche di notte, senza fiatare; pronti a morire come mosche (“è il quinto oggi” viene detto ad un certo punto nel film) per costruire strade e dighe in terra straniera.
Vittime del razzismo come ricorda la scritta “interdit aux chiens et aux italiens” (vietato ai cani e agli italiani) che compare nel film, così simile a quel “non si affitta ai meridionali” che qualche anno dopo ricomparirà nella Torino industriale degli anni ‘60.
Sin troppo facile fare il parallelo con i morti del Mediterraneo di oggi ed infatti Ughetto se ne astiene, che la storia parla da sé per chi abbia voglia di ricordarsi che era ieri che dormivamo nelle stalle con gli animali ed andavamo a morire nelle miniere del Belgio.
Sullo sfondo, ma neanche troppo, corre la storia del primo ‘900 della quale alle volte gli Ughetto vorrebbero essere solo spettatori alla finestra come quando sotto la loro casa francese passa il Tour de France.
Ma troppo spesso invece la storia irrompe nelle loro vite come farà una bomba sganciata dagli aerei italiani durante la seconda guerra mondiale.
Così gli Ughetto diventeranno carne da macello prima nella Guerra d’Africa, poi nella Prima guerra mondiale ed infine fuggiranno per scappare dalla fame ma anche dal fascismo.
Ughetto non fa sconti a nessuno ed ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Il parroco del paese si arricchisce sull’ignoranza della gente che alimenta apposta per tenersi piena la pancia a spese dei più disgraziati, magari contribuendo a bollare come streghe le povere donne che non si piegano alla sua prepotenza; la stessa prepotenza dei poco di buono che si riciclano come fascisti pronti a violentare l’unica donna rimasta senza uomo nel piccolo paese.
L’antifascismo degli Ughetto, così come il loro anticlericalismo è quello istintivo di chi si deve difendere da un potere violento e prepotente che li condanna alla fame.
Manodopera anche su questo non cede alla retorica; certo ci ricorda che una volta c’era una solidarietà maggiore e che invece di andare ad elemosinare ci si accontentava di poco; ma non dipinge mai la povertà con stucchevoli toni poetici.
No; la povertà è quella cosa per la quale i nostri nonni non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena, era la mancanza di medici, era morire per la spagnola o per una frattura, non arrivare vivi all’adolescenza per una banale febbre.
Si potrebbe dire che Manodopera sia un film necessario e politico, una lezione di storia necessaria in un paese che si finge smemorato ed indossa i panni violenti del razzismo come dottrina politica di governo ma infondo è solo una lezione di poesia che muove, smuove e commuove.
EMILIANO BAGLIO