Quattro figlie

Tra ritratto privato e seduta psicanalitica un’indagine sulla Tunisia di oggi e sul processo di messa in scena del film stesso.

di EMILIANO BAGLIO 13/07/2024 ARTE E SPETTACOLO
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Vincitore de L'Œil d'or al Festival di Cannes 2023, Premio César 2024 come miglior documentario, candidato all’Oscar 2024 come miglior documentario.

 

 

Che cosa è Quattro figlie?
Un documentario sulla realizzazione di un film, come in una sorta di dietro le quinte in cui il processo stesso di messa in scena è ciò che vede lo spettatore?

Una seduta di psicoterapia di gruppo?
Un ritratto privato attraverso il quale ricostruire la biografia della Tunisia di oggi?
Olfa Hamrouni ha quattro figlie.

Le due maggiori, Rahma e Ghofrane sono state prese dal lupo.

Le due minori, Eya e Tayssir vivono con lei.

Nel ricostruire un fatto di cronaca risalente al 2016 la regista tunisina Kaouther Ben Hania decide di ricorrere all’aiuto di tre attrici che interpreteranno Olfa e le due figlie maggiori.

Lo scopo è sia quello di sopperire alla mancanza fisica di Rahma e Ghofrane, interpretate da Nour Karoui e Ichrak Matar, sia evitare ad Olfa (interpretata da Hind Sabri) di dover rivivere direttamente i momenti più tragici della sua vicenda.

Tuttavia quello che lo spettatore vede non è il risultato finale, bensì il momento della messa in scena che diventa così l’oggetto stesso del film.

Per dirla altrimenti, come in una sorta di making of, lo spettatore assiste al momento stesso delle riprese, tant’è che il film si apre proprio come un ciak.

Quattro figlie diviene così una sorta di prodotto ibrido, un documentario sul processo creativo di Kaouther Ben Hania, sul suo lavoro sul set che però narra anche la storia stessa al centro del fatto di cronaca ed in controluce l’evolversi della società tunisina degli ultimi anni.

Infrangendo ogni regola la stessa regista fa avvertire la sua presenza, interpellata tanto da Olfa e dalle sue figlie quanto dalle attrici.

Le riprese del film diventano così l’occasione di un confronto/incontro a più voci.

Le attrici chiamate sul set intervengono non solo per conoscere la storia che devono mettere in scena e le emozioni vissute dalle tre donne ma finiscono, soprattutto Hind Sabri, per confrontarsi con le vere protagoniste della vicenda, finendo con il commentare le loro scelte.

Non assistiamo più solo al confronto tra protagonisti reali ed interpreti ma ad un vero e proprio dialogo tra esseri umani che escono dal loro ruolo di attori e cominciano a parlare tra di loro della società tunisina in generale.
I meccanismi sono gli stessi della psicoterapia di gruppo con i veri protagonisti della vicenda e gli attori chiamati ad interpretarli che interagiscono tra di loro mettendo in scena gli eventi del passato.

Da questo processo, ad esempio, emerge come Olfa ed Hind rappresentino due facce della stessa medaglia e della vecchia generazione femminile contrapposta alle giovani Eya e Tayssir.

Tuttavia, se Olfa è cresciuta con un rapporto conflittuale con il suo corpo e con il sesso, ed ha rinnegato la sua stessa femminilità, Hind invece appare molto critica nei confronti della donna e delle sue paure.

Allo stesso tempo la vicenda privata riflette i cambiamenti in atto nella società tunisina.

Così, ad esempio, la caduta di Ben Ali e la conseguente “rivoluzione” diventano per Olfa l’occasione per rimettere in discussione la sua vita, innamorarsi di un uomo, dopo un matrimonio imposto con un uomo violento, e finalmente vivere la propria adolescenza.

Non saranno tutte rose e fiori, anzi, perché il nuovo uomo non è migliore del precedente, anzi.

Impossibile dire di più.

La tragedia in ogni caso è dietro l’angolo e non solo dal punto di vista privato.

Ben presto sulla scena irrompono i fratelli musulmani.

Con il loro arrivo torna sulla scena anche il hijab, proibito da Ben Ali.

Se con questo divieto portare il “velo” aveva assunto quasi un sapore di provocazione rivoluzionaria, con il nuovo regime esso diventa ben presto strumento di oppressione e viene subito sostituito con il niqab.

Tutta la famiglia sembra subire il fascino dei fratelli musulmani e ben presto le due sorelle maggiori da adolescenti dark finiscono per scomparire dietro un altro nero, quello del velo integrale.

Un processo di radicalizzazione, con contorni quasi da film horror e tanto di esorcismi (ricreati ad hoc per l’occasione) che sembra essere lo specchio di quello subito dall’intera Tunisia.

Ma è nell’ultima immagine che, forse, Quattro figlie, trova il suo senso più profondo e la sua sintesi perfetta; nello sguardo smarrito ed impaurito di una bambina cresciuta in prigione.

EMILIANO BAGLIO


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