Love lies bleeding

Una folle sarabanda colorata che strabocca di idee ed invenzioni ma nella quale si perde l'impronta della regista.

di EMILIANO BAGLIO 16/09/2024 ARTE E SPETTACOLO
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Lou (Kristen Stewart) gestisce una scalcagnata palestra in una cittadina sperduta del New Mexico. La sua squallida routine cambia quando arriva per allenarsi Jackie (Katy O’Brian), una culturista che vuole raggiungere Las Vegas per partecipare ad un concorso. Tra le due nasce una bruciante passione. Ma le due donne dovranno fare i conti con Beth (Jena Malone), sorella di Lou, ed il marito violento J. J. (Dave Franco) e soprattutto con il padre delle due ragazze; Lou Sr. (Ed Harris).

 

Love lies bleeding, secondo lungometraggio di Rose Glass, è un film completamente diverso dal precedente Saint Maude.

Tanto il primo era immerso in un’atmosfera autunnale, dominata dal grigiore di una triste città costiera inglese, quanto questo è una sarabanda ultrapop.

Rose Glass mescola audacemente diversi generi tra di loro in un film che gronda atmosfere anni ‘80.

Viene spontaneo chiedersi, dinnanzi a due opere così diverse tra di loro, quale sia il vero stile della regista.

Il sospetto che abbiamo è che nel nuovo film pesi, forse in maniera eccessiva, la produzione da parte della A24.

Il risultato finale infatti sembra rispondere più all’estetica indie costruita film dopo film dalla casa di produzione che non a quella del precedente lavoro di Rose Glass.

Il riferimento più immediato sono alcuni titoli, quelli più grotteschi ed eccessivi, dei Fratelli Coen.

Ci ritroviamo ancora una volta in una squallida provincia americana con una storia che, mano a mano che procede, accumula cadaveri su cadaveri.

Dalla sua Rose Glass azzecca un cast praticamente perfetto.

La dolente magrezza di Kristen Stewart si contrappone al fisico statuario di Katy O’Brian in un ruolo cucito su misura sui suoi muscoli.

Ma anche tutti i comprimari sono azzeccati a partire dai viscidi capelli di un Ed Harris come sempre straordinario.

Su questo sfondo Rose Glass costruisce un film che cambia continuamente pelle e nel quale sforna idee a getto continuo senza preoccuparsi troppo del senso della misura.

I ricordi/incubi dominati dal colore rosso di Lou lasciano lo spazio alle esplosioni di violenza delle varie morti; abbondano gli steroidi, i particolari dei muscoli che guizzano e si gonfiano ma anche le conseguenze sulla mente di Jackie, sempre più incapace di controllarsi, preda di violenti scatti di ira incontrollabile e di momenti di totale assenza.

I fluidi corporei dominano il film; il sudore della palestra, il volto tumefatto di Beth, il lurido cesso traboccante liquami schifosi nei quali è immersa Lou ad inizio film ed il vomito sul palco di Jackie.

Una cavalcata sfrenata ambientata nel 1989, tra luci al neon e sintetizzatori, tra le buie notti del deserto e gli inserti coloratissimi che costellano un film fatto apposta per spiazzare e stupire lo spettatore.

Sino all’apoteosi di un prefinale assolutamente delirante con un’invenzione talmente grottesca da lasciare interdetti o entusiasti a seconda dei casi.

Tuttavia, nonostante la perfetta padronanza del ritmo, del cast, del miscuglio dei generi e l’abbondanza di trovate che farebbero l’invidia della maggior parte dei film, alla fine Love lies bleeding non si discosta molto da titoli simili (oltre ai Coen viene in mente il recente Everything everywhere all at once) con il rischio che in questa sarabanda colorata si perda quell’impronta originale che Rose Glass aveva mostrato nel suo esordio.

Come si suol dire in questi casi...staremo a vedere.

EMILIANO BAGLIO


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