Stefan Liberski: L'art d'être heureux

Festa del cinema di Roma 2024. Concorso Progressive cinema.

di EMILIANO BAGLIO 18/10/2024 ARTE E SPETTACOLO
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Jean-Yves Machond (Benoît Poelvoorde) è un artista concettuale, famoso per le sue stanze vuote, che si è appena trasferito ad Étreat (le cui falesie sono state immortalate da Matisse) per fare “tabula rasa” come ama ripetere e forse anche per superare la crisi creativa che ha da anni.

Neanche il tempo di arrivare che il nostro conosce Bagnoule (Gustave Kervern), pittore della domenica che lo introduce alla comunità artistica locale.

Segue una galleria di personaggi uno più strampalato dell’altro, tutti dipinti alla perfezione, spesso anche con pochi tratti, grazie anche ad un cast straordinario che dà il meglio di sé.

C’è Cécile (Camille Cottin), proprietaria delle galleria della cittadina che comincia a giocare con Jean-Yves come il gatto con il topo, seducendolo per poi puntualmente lasciarlo sul più bello.

C’è il suo irascibile marito Claude (François Damiens), gelosissimo e perennemente ubriaco che finisce con il chiedere aiuto proprio a Machond per scoprire il sospetto tradimento di Cécile.

C’è Homet (Laurence Binot) che vive in una casa nel bosco che pare uscita da un libro di fiabe, Macha (Lorella Cravotta), irascibile pittrice locale, il già citato Bagnoule ed infine Deborah (Marine Dandoy) che è forse l’unica ad avere un talento nell’arte.

Su tutti troneggia Jean-Ives, interpretato magnificamente da Benoît Poelvoorde che dà corpo ad un artista fallito, logorroico e pieno di sé, sempre ansioso di apparire come un vero intellettuale.

Impossibile non innamorarsi di questa strana compagine di personaggi.

L’art d’être heureuxè costruito come la più classica delle commedia.

Machond si trova a vivere situazioni sempre più assurde; viene abbandonato in mezzo al nulla da Cécile, subisce un arresto dalla polizia e la sua casa ha una serie di incidenti che portano alla rottura delle tubature della fossa biologica con esiti nauseanti.

Gli equivoci si susseguono ed i dialoghi diventano sempre più frizzanti; è il caso di quello tra Machond e Camille davanti ad un quadro raffigurante una vagina, tema che torna quando il nostro eroe comincia a disegnare ricci in serie che tutti scambiano per rappresentazioni dell’organo sessuale femminile.

Liberski insomma costruisce una commedia leggera leggera conducendoci per mano in un piccolo mondo pieno di tic, di vizi, di stranezze ma anche di tanto calore umano.

Lo stesso che ci avvolge nel finale che ci regala una sorpresa inaspettata.


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