After the odyssey.
23esima edizione del RIFF Rome indipendent film festival. Documentary competition
Dopo un viaggio infernale, una volta arrivate in Italia, ciò che aspetta le donne nigeriane è l’orrore della schiavitù sessuale.
Tanti sono gli interrogativi e le riflessioni che nascono durante e dopo la visione di After the odyssey.
La prima, da spettatore, è che in tutto il film non si vede nemmeno un uomo.
I maschi sono fuori dallo schermo, comunque presenti nei terribili racconti delle sopravvissute, ma sempre nel ruolo del carnefice.
È una constatazione terribile che non può non toccare direttamente qualsiasi uomo veda questo documentario interrogando direttamente la nostra coscienza.
L’altra è una domanda che sorge spontanea durante lo svolgersi del film, ovvero perché non scappino tutte.
E qui sta il merito migliore di quest’opera che non si può fare a meno di definire necessaria.
Helen Doyle non si limita a raccontarci le storie delle donne sopravvissute a questo orrore, lasciando la parola a loro e alle persone che le hanno aiutate in questo cammino.
Il suo film spiega dettagliatamente la realtà ed i meccanismi che regolano questa ignobile tratta delle schiave del sesso.
Innanzitutto conosciamo la spietatezza della mafia nigeriana, che non dimentica mai le sue vittime e che arriva a cercarle anche dopo anni.
Ovviamente anche le famiglie delle ragazze non sono immuni a tanta crudeltà e spesso sono loro stesse a pagare, con minacce e soldi, la loro fuga.
A questo si aggiunge la figura delle madame, ex schiave del sesso che sono poi diventate le carceriere delle nuove schiave.
Queste donne hanno un ruolo centrale nella società nigeriana; infatti, sebbene tutti sappiano da dove proviene la loro ricchezza, esse portano in Nigeria una marea di soldi contribuendo spesso in prima persona al benessere dei villaggi e dei singoli, in un meccanismo perverso per il quale il (relativo) benessere di molti dipende dalla generosità di queste aguzzine.
Questa realtà terribile è poi ulteriormente peggiorata dopo la pandemia.
Durante quel periodo infatti le vittime sono state tolte dalla strada e costrette a prostituirsi in case; ben presto la mafia nigeriana ha compreso che tale reclusione gli permetteva un controllo totale ed il risultato finale è che ora queste donne sono diventate totalmente invisibili, rendendo ancora più difficile il lavoro di chi prova a salvarle dal loro destino.
Sullo sfondo c’è il ritratto di un paese sempre più crudele e razzista, l’odissea vissuta da queste donne, gli orrori delle prigioni libiche delle quali tutti noi sappiamo ma che sembra non interessarci più.
Negli occhi dello spettatore rimangono indelebili le immagini dell’infinito squallore dei posti dove queste schiave sono costrette a prostituirsi.
After the odyssey, dicevamo, è il classico documentario in cui il contenuto prevale sulla forma ed è ciò che conta.
Un viaggio spietato nell’orrore che non lascia indifferenti e che commuove sino allo strazio lasciando aperte sul tavolo tutte le domande sulle eventuali soluzioni sociali e politiche in un momento storico in cui la repressione sembra l’unica risposta.
EMILIANO BAGLIO