Anora

Sean Baker ci consegna un film dalla durata estenuante in cui ammicca continuamente al pubblico.

di EMILIANO BAGLIO 04/12/2024 ARTE E SPETTACOLO
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Anora detta Ani (Mikey Madison), spogliarellista di origini uzbeke, una sera, nel locale dove si esibisce, conosce Vanja (Mark Ėjdel'štejn), figlio di un ricco oligarca russo.

Tra i due comincia una relazione che sfocia in un matrimonio a Las Vegas, peccato che i genitori di Vanja scoprano il fatto.

 

C’è una scena in Anora, nuovo film di Sean Baker, quella in cui i tre tirapiedi inviati dai genitori di Vanja irrompono a casa del giovane, il quale fugge lasciando Ani nelle loro mani; che è una delle sequenze più violente viste al cinema quest’anno; eppure mentre si svolgeva il pubblico in sala rideva.

Poco dopo gli scagnozzi; T’oros (Karen Karagulian), Gaṙnik (Vače T'ovmasyan) ed Igor' (Jurij Borisov), cominciano una caccia all’uomo notturna ed anche in questo caso, mentre il film potrebbe trasformarsi in un thriller tesissimo ed il sogno di Ani si frantuma, il pubblico continua a ridere.

Il punto è che, sulle orme dei Fratelli Coen e del loroFargo (1996), Sean Baker descrive i “criminali” come tre perfetti inetti infarcendo il film di momenti comici.

Sembra quasi stia sabotando scientemente il suo stesso film, o meglio ciò che Anora avrebbe potuto essere.

Ammicca in continuazione al pubblico buttandola sul ridere ed evitando accuratamente che la deriva noir o quella drammatica possano trovare spazio.

C’è quasi qualcosa di amorale in questa sua scelta, il sapore di un cinema che non vuole portare il pubblico verso la riflessione ma preferisce piuttosto offrirgli solide certezze sotto la forma di un film dalla lunghezza estenuante oltre ogni umana sopportazione, costruito su di una sceneggiatura in cui tutto può essere ampiamente previsto con largo anticipo.

Non c’è mai nessuna sorpresa echiunque può intuire ogni singola svolta narrativa.

Lo spettatore, ancora una volta, in questo depotenziamento continuo volto ad accattivarsi le sue simpatie, rimane un soggetto puramente passivo; non gli viene richiesto nessuno sforzo critico; piuttosto gli vengono offerte solide verità preconfezionate; precotte verrebbe da dire, che fanno leva sugli istinti primari.

L’apice di questo processo è un finale che è il trionfo del didascalico.

L’incontro di due solitudini e bla bla bla, sbattuto in faccia allo spettatore senza nessuna finezza, con una retorica insopportabile affinché a tutti sia chiaro.

Quanto sarebbe stato più efficace uno schermo nero qualche minuto prima, ma no; non sia mai; non dobbiamo fare nessuno sforzo critico o di immaginazione/interpretazione della realtà.

Persino i paragoni con Pretty woman (1990) appaiono fuorvianti.

La commedia di Gary Marshall, nel suo mostrare i residui del progetto originale, appariva molto più crudo e realistico di Anora, il che è tutto dire.

Ma, evidentemente, questo è il cinema che oggi ci meritiamo e che vogliamo.

EMILIANO BAGLIO


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