Natale in casa Cupiello. Spettacolo per attore cum figuris
Una coperta ruvida sotto la neve dei propri sogni nel rispetto della didascalia: Tommaso (raggomitolato e sprofondato sotto le coperte reclama) «‘A zuppa ‘e latte!».
Entriamo subito nel concerto di indicazioni oniriche della commedia “Natale in casa Cupiello| spettacolo per attore cum figuris”, allestimento pluripremiato prodotto da Teatri Associati di Napoli/Teatro Area Nord, Interno 5 con il sostegno di Fondazione Eduardo De Filippo e Teatro Augusteo. Lo abbiamo visto il 6 dicembre 2024 nella casa per eccellenza di Eduardo: il Teatro San Ferdinando. Tra il pubblico diverse personalità del mondo dell’arte.
Nella stessa sala, il giorno di Natale del 1976, Eduardo De Filippo recitava “Natale in casa Cupiello” e tra il pubblico vi era un gruppo di ospiti di eccezione: la compagnia sperimentale statunitense del Living Theatre, venuta a rendere omaggio all’arte del Maestro.
Nata come atto unico nel 1931, l’opera, è stata poi revisionata e sviluppata, successivamente inserita nella “Cantata dei giorni dispari” e consacrata al “cinematografo” negli anni ‘60.
Eduardo pubblicava le sue commedie molto dopo la messa in scena, perché riteneva che il copione andasse scritto, poi verificato durante le prove, e infine trasformato in un testo-spettacolo insieme alla compagnia.
E così Hilenia De Falco, oggi direttrice artistica del TAN, nel 2019 ha accolto e sostenuto la forza dell’operatività di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia riguardo la rilettura di una drammaturgia emblematica che ha lasciato tracce e corpus in ogni attore e/o spettatore nazionale ed internazionale. Se il testo scenico era per Eduardo “conversazione di vita” è allora vero che da quasi un secolo, il Natale in casa Cupiello, dialoga con il mondo artistico, rappresentando l’identità dell’essere umano, con o senza maschera.
«Tommasì, te piace ‘o presepio?».
La regia di Lello Serao, rispetta integralmente l’ultima stesura, eppure rievoca “soltanto” i personaggi eduardiani maggiormente rimasti impressi nella memoria collettiva. Siamo di fronte all’orchestrazione mimica, recitativa e visionaria di una “poetica autonoma” della regia, quella che Orazio Costa definì come in grado di “creare una coscienza spirituale”, che fa del teatro una cosa vera ed attuale. Lo spettatore, coccolato dalle musiche originali di Luca Toller e ammaliato da un imponente Saccoia, si trova di fronte a grandi pastori di un presepe, proprio quelli che a Tommasino non piacciono. Luca Saccoia, come un Gulliver contemporaneo, è posto di fronte ad un telo che funge da cielo di stoffa, arricchito con disegni stilizzati da bambino, ‘o Nennillo, appunto. Le luci di Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo, retro illuminano un foglio scritto a mano (la letterina di Natale, o forse il biglietto che Nicolino non avrebbe mai dovuto leggere), puntano sui colori della tazza di caffè, ombreggiano la stella cometa. Non manca la tipica caffettiera napoletana usata nel monologo al balcone di "Questi Fantasmi!". E proprio come nella famosa scena, i personaggi si affacciano da piccoli pianerottoli che squarciano la scenografia.
«Fa freddo. Concè, fa freddo fuori?»
Le scenografie sono curate dalla sensibilità di Tiziano Fario, a rendere unico questo allestimento sono i Pupazzi (vestiti da Federica del Gaudio), che come scrive Emanuela Ferrauto “Non sono pupi siciliani, non sono marionette […] ma sono personaggi creati appositamente per questo spettacolo, pertanto assumono un valore inestimabile per la storia del teatro”.
Sette maschere di circa 1 metro costruite in legno e cartapesta, con articolazioni in tessuto e facce molto marcate, quasi caricature dell’umanità, hanno voci e movenze simboliche e creano reazioni che partono dall’anima dei “manovra-attori”: Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Simone Di Meglio, Angela Dionisia Severino, Irene Vecchia. Le tecniche dei movimenti sono state messe appunto durante il laboratorio di formazione curato da Irene Vecchia, con il risultato che la gestualità è padroneggiata in modo tale da vivificarne i personaggi e valorizzarne mimicamente le parole, dette o non dette, attraverso il loro suono emotivo. Saccoia è uno e molteplice, interpreta tutte le maschere giocando proprio sul fatto che l’intreccio è un capolavoro conosciuto da tutti. Eppure riesce a sorprenderci, anche grazie alla suddetta regia di Serao che ha spinto la dialettica padre-figlio.
Luca/Tommaso (gioco di nomi degno), con ritmi, tempi e profondità, è figlio adottivo di Eduardo. Ne raccoglie la leggerezza pur sentendone il peso. Dell' Eduardo di cartapesta vediamo la carne, sentiamo i battiti; teneramente Saccoia bacia il Pupazzo - maschera, lo accarezza, lo sacrifica nelle grandi braccia dell’Arcangelo, immancabile in ogni Presepio che si rispetti. Eduardo è il padre che ogni figlio crede di non aver compreso abbastanza.
La chiave è nelle battute finali e nella loro didascalia:
Luca (mostra al figlio il braccio inerte, lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole): «Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio? (Superando il nodo di pianto che gli stringe la gola, riesce solamente a dire Sì».
Quel Sì di Tommasino che diventa uomo è un livello di lettura del racconto che ha com-mosso fin oggi 84 repliche.
(Ottenuto il sospirato “si”, Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri…). Ci piace pensare che Eduardo si riferisse a noi che, dal futuro, ancora partecipiamo con gli occhi lucidi e le mani in palpitazione.
Ci auguriamo che questo "Tommaso in casa Cupiello" diventi un appuntamento fisso nella nostra Napoli per avvicinare, in modo innovativo, le nuove generazioni al teatro di tradizione così come piacerebbe a Simona Moscara che ha sempre sostenuto l’arte e la vita.
Questo, ed ogni futuro articolo, è dedicato a te che hai sempre creduto nella bellezza delle piccole-grandi cose, a te che nell’ultima telefonata mi hai chiesto “Com’ è stato lo spettacolo?”.
Con amicizia eterna.