"Parenti terribili". La famiglia e le sue nevrosi. Di Jean Cocteau, regia di Filippo Dini, dal 25 gennaio al 2 febbraio 2025 al Teatro Bellini di Napoli

di Anita Laudando 29/01/2025 ARTE E SPETTACOLO
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fonte CinqueW New
 
“Parenti terribili” è un testo del francese Jean Cocteau. L’autore lo conosciamo tutti anche grazie ad Anna Magnani che ne interpretò al cinema “Una voce umana” con la regia di Rossellini.  
 
Jean Maurice Eugène Clément Cocteau fu poeta, drammaturgo, saggista, sceneggiatore, disegnatore, scrittore, regista, attore, librettista, artista eclettico e sperimentatore. Legato alle avanguardie parigine, l’esordio come drammaturgo innovatore avvenne nel 1917 ideando il soggetto del balletto “Parade”, le cui scenografie furono di Picasso: una lunga tela di 17 metri in cui si vedeva anche il golfo di Napoli e Pulcinella. Non dobbiamo mescolare altro per spiegare il fatto che Sabato 25 gennaio, alla prima de "I Parenti Terribili" il Teatro Bellini di Napoli fosse pieno.
 
Al caro poeta parigino, maestro della generazione di giovani del dopoguerra, si deve la tendenza drammaturgica di proporre in chiave moderna i miti letterari della Grecia classica (scrisse “Orfeo” nel 1926 e “La macchina infernale” nel 1934). L’autore, che ha affrontato tutti i generi letterari, mette in luce il meccanismo per il quale gli individui sono imbrigliati dall’impassibilità sprezzante del fato. Questa stessa crudele logica è esplicitata anche nel salotto borghese, nel cosiddetto Teatro boulevardier a cui il cinema fece tanta concorrenza.  “Les parents terribles” scritto nel 1938, fu proibito nel 1941 dalla destra francese, rappresentato poi da Luchino Visconti nel 1945 in Italia ed esiste una versione cinematografica del ’48 con la regia dell’autore stesso.
 
Dal 25 gennaio al 2 febbraio 2025, il testo tradotto da Monica Capuani, è in scena al Teatro Bellini, con la regia di Filippo Dini. Il lavoro che ha riscosso successo in tutta Italia, è in co-produzione fra gli stabili del Veneto, di Torino, Napoli e Bolzano. Si tratta della terza tappa della trilogia sulla famiglia disfunzionale, con “Casa di bambola” di Ibsen e “Agosto a Osage County” di Tracy Letts.
 
Un allestimento di cui restano impresse le scenografie bianche di Maria Spazzi, che evocano un microcosmo dominato da un enorme letto, simbolo del “Carrozzone” come viene chiamata la stanza-casa illuminata dal disegno luci di Pasquale Mari. Gli unici elementi del mondo esterno sono i vivaci costumi di Katarina Vukcevic e gli strati di suono che accompagnano alcuni momenti.
 
Le dinamiche in scena hanno una forte valenza sociale e psicologica; “La difficoltà di essere” è ripensata con ritmi e nevrosi fortemente contemporanei.
 
Questo spettacolo parla di vita e di morte. Di orgasmi e masturbazioni. Di forze e fragilità. Di solitudini. Di relazioni di coppia: Yvonne (Mariangela Granelli) e suo figlio Michael (Cosimo Grilli); Georges (Filippo Dini) e sua cognata Léonie (Milvia Marigliano); Madeleine (Giulia Briata). La scena si apre e si risolve con un picco insulinico, con un amplesso di vita “in un mondo onirico in cui galleggiano memorie amniotiche” spiega Massimo Cordovani, autore delle musiche, curate con autentica delicatezza.
 
Il gioco di inseguimenti e innamoramenti a cui assistiamo rendono Mariangela Granelli la protagonista inconsapevole della pièce, in fondo è Yvonne che con piacere e dolore partorisce il suoi mostri interiori, sempre lei è ignara del tradimento fisico del marito e psichico della sorella (la quale chiaramente dirà alla famiglia: “Ecco una donna che vissuto tutta la vita con gli occhi chiusi” e cinicamente canterà “Tornerai” di Dalida davanti al suo svenimento definitivo).
 
Guai a prendere alla lettera ciò che vediamo accadere: “A quanto ne sapevi tu eravate in due invece siete in tre”. Tutto è un’esagerazione, una caricatura, una fantastica provocazione di Cocteau che forse, non avrebbe richiesto tante urla di irritabile esasperazione. Oppure sì, perché erano proprio quelle a dare il senso del grottesco, una forma di straniamento capace di sdrammatizzare le dinamiche interpersonali? “In fondo siamo due personaggi classici io e te, non ne sei un po' orgogliosa?”
 
I movimenti febbrili della vittima- figlio che “appartiene a una generazione in cui confonde la ricerca su se stesso con l’arte di non fare nulla”, si contrappongono volutamente all’eleganza e all’ironia della Marigliano, ma c’è poco da fare, un maggiore dominio del corpo-voce, da parte del giovane interprete sarebbe auspicabile anche per creare reazioni più credibili da parte della graziosa Madeleine, svelata e velata nel suo triangolo narcisistico.



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