Tumori infantili. Italia all'avanguardia per terapie innovative, le guarigioni superano l'81% ma le associazioni dei familiari chiedono più ricerca e una migliore gestione dei pazienti

di redazione 16/02/2025 SCIENZA E TECNOLOGIA
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In Italia i pazienti oncologici pediatrici ricevono cure all’avanguardia e questo riguarda sia i protocolli - che sono la base - sia le cure sperimentali che ci permettono di ottenere percentuali di guarigione molto alte. Siamo in linea con gli Stati Uniti nei trattamenti innovativi come le terapie geniche, cellulari o con CarT, che in altri Paesi europei non sono disponili. Ad esempio in Italia è in corso un trial clinico, che conduciamo al Bambino Gesù, sui tumori del sistema nervoso centrale come ne esistono al massimo una decina in tutto il mondo». A spiegare il balzo della sopravvivenza globale per tumori pediatrici, passata nel nostro Paese dal 69,5% de1989-1998 al 76,8% del decennio successivo fino all’81,1% di guartiti al 2017, è Angela Mastronuzzi, presidente dell’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (Aieop) che fa capo ai 50 centri del Paese e responsabile della Neuro oncologia dell’Ircss pediatrico Opbg di Roma. L’occasione per fare il punto sui numeri così come sulla ricerca e sui nodi da sciogliere in fatto di presa in carico dei pazienti con tumore da zero a 19 anni è la Giornata internazionale contro il cancro infantile del 15 febbraio, istituita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Guarigioni sostenute dalla ricerca e dal network

In Italia sono 2.200 le nuove diagnosi l’anno: 1.400 su bambini under 14 e 800 su adolescenti a partire dai 15 anni. Con un tasso di sopravvivenza che tra 2009 e 2017, ricordano ancora dalla Aieop, è ormai all’86% per i tumori del sangue (dal 59% del 1989-1998) e al 76,5% (dal 59,8% dello stesso periodo) per le forme solide. Considerando che i dati Aieop sono riferiti al 2017, dal momento che le sopravvivenze vengono stimate a 5 anni, i numeri oggi sono sicuramente migliorati grazie all’impiego di trattamenti sperimentali e alla diffusione dei protocolli. La ricerca scientifica e il network sono infatti le due chiavi del successo, pure se da implementare ulteriormente. «La ricerca ci consente di conoscere la malattia, le sue caratteristiche biologiche e la sua aggressività. Avere il dettaglio della singola patologia - prosegue Mastronuzzi - ci consente di dosare i trattamenti. In termini semplici ma efficaci, più è “cattiva” la malattia più dobbiamo essere “cattivi”: questo per dare ai bambini le cure più appropriate riducendo al massimo gli effetti collaterali e preservando la qualità della vita dopo il cancro. Un aspetto cruciale: per i bambini guariti l’aspettativa di vita dev’essere sovrapponibile a quella della popolazione generale». Poi c’è il network: i tumori pediatrici sono rari, perciò fare rete consente di sviluppare maggiore esperienza sulle singole patologie. I protocolli cooperativi sono importanti tanto che l’averli adottati ha determinato la svolta nella sopravvivenza tra gli anni Settanta e oggi. Fondamentale in questo contesto è arrivata nel 2021 la bussola della prima classificazione Oms dei tumori pediatrici, alla cui stesura hanno partecipato anche patologi italiani sotto la guida dell’Organizzazione mondiale della sanità: consente di usare nuovi farmaci target, di adattare il rischio alla gravità della patologia e di iniziare a muoversi anche in Italia sui tumori solidi con farmaci sperimentali come le CarT che hanno conosciuto le prime applicazioni, con successi notevoli, sulle forme oncoematologiche.

 

Il nodo dei viaggi da Sud a Nord del Paese

Scuola in ospedale, psicologi dedicati e rieducatori, collegamento con le case di accoglienza e con le associazioni genitori: «Ogni centro di onematologia pediatrica è organizzato per un supporto completo alla vita del bambino e della famiglia», spiega ancora la presidente Aieop. Ma non mancano le difficoltà e a segnalarle sono proprio le trentatrè associazioni delle famiglie che fanno capo alla Federazione italiana associazioni genitori e guariti Oncoematologia pediatrica (Fiagop). «C’è ancora un tema di trasferimento dalle Regioni del Sud, per mancanza di strutture, per il prestigio acquisito da grandi ospedali del Nord e del Centro Italia come il Gaslini di Genova o il Bambino Gesù di Roma o per la presenza di sedi specializzate in tumori rari - spiega il presidente Fiagop Paolo Viti -. Le Regioni più critiche sono Sardegna e Calabria - dalla quale parte il 75% dei bambini oncologici - mentre va detto che altre come l’Abruzzo, la Puglia e la Campania sono “cresciute” . Fiagop, che spende con le sue associazioni sui 3 milioni di euro soltanto per le case alloggio e per i centri di accoglienza in cui offre gratuitamente alle famiglie che hanno dovuto lasciare le loro case un alloggio ma anche sostegno psicologico, spazi di gioco, intrattenimento e sport, tocca tutti i giorni con mano le disparità sul territorio».

Serve più assistenza psicologica

Una richiesta importante è quella di potenziare l’assistenza psicologica: a farsene portavoce è tra gli altri Fondazione Soleterre che ha lanciato la campagna “Uno Psicologo per Ogni Reparto” e il Manifesto per il supporto psicologico gratuito, con 5 principi per garantire a tutte le persone il supporto psicologico gratuito e accessibile, affinché diventi un diritto garantito dal Ssn. Dal suo lancio, il 10 ottobre 2024, in poche settimane il Manifesto ha raccolto oltre 5mila firme. Non solo: un emendamento inserito nella legge di Bilancio 2025 autorizza l’assunzione di psicologi nelle onco-ematologie pediatriche pubbliche nel limite di spesa di 500 mila euro annui per 3 anni. Un primo importante passo, rilevano da Soleterre, che sta costituendo con Aieop e Sipo (Società italiana di Psico-Oncologia) un tavolo tecnico per l’implementazione della misura.

Oggi la presa in carico dopo la parte critica di patologia e i primi anni di follow up resta nel centro ospedaliero: «Noi continuiamo a seguire i pazienti anche per molto tempo - dice Mastronuzzi - perché in oncologia la transizione dall’età pediatrica a quella adulta ancora non riusciamo ad averla. Manca una figura che possa prendersi cura di questi pazienti. Stiamo lavorando per capire come - dopo i 5 anni di follow up e a guarigione avvenuta quando il rischio di recidiva si approssima allo zero - staccare il “cordone ombelicale” dal centro che ha seguito il bambino o il ragazzo per consentirgli di usufruire dei servizi territoriali affidandolo a un coordinamento competente anche a 10-15-20 o 30 anni dalla malattia e tenendo conto della nuova legge sul diritto all’oblìo. In futuro si potrà fare ma oggi non ancora non ci siamo».



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