L'Europa alla guerra dei dazi voluta da Trump

di redazione 28/02/2025 ECONOMIA E WELFARE
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Ue prevede di introdurre "dazi reciproci" su acciaio e alluminio e dovrà "rispondere" sugli altri prodotti.

Lo ha detto Emmanuel Macron, reagendo all'imminente introduzione da parte degli Stati Uniti di dazi doganali del 25% sui prodotti europei.

Se i dazi americani su acciaio e alluminio "vengono confermati, gli europei risponderanno e quindi ci saranno tariffe reciproche. Poiché dobbiamo proteggerci, dobbiamo difenderci", ha osservato il presidente francese in una conferenza stampa a Porto con il primo ministro portoghese Luis Montenegro. "Non dobbiamo mostrarci in qualche modo deboli di fronte a queste misure", ha aggiunto. 

Macron ha affermato di aver sollevato la questione dei dazi Usa sull'Ue nel suo incontro con Donald Trump ma di essere rimasto "con pochissime speranze" che la questione possa essere risolta. 

L'Unione europea prevede l'istituzione di "dazi reciproci" con gli Stati Uniti sull'acciaio e sull'alluminio e dovrà "rispondere" sugli altri prodotti. Lo ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron commentando la decisione del presidente americano Donald Trump di imporre dazi del 25% sui prodotti europei. Se i dazi americani sull'acciaio e l'alluminio "saranno confermati, gli europei risponderanno e allora ci saranno dazi reciproci. E questo perché dobbiamo proteggerci da chi ci offende", ha detto il capo dell'Eliseo corso di una conferenza stampa congiunta a Porto con il primo ministro del Portogallo Luís Montenegro

 

"Non abbiamo nessun altra scelta, non dobbiamo in alcun modo mostrarci deboli di fronte a queste misure", ha aggiunto Macron, sottolineando di avere "pochissime speranze" in una soluzione positiva della questione dopo il suo incontro alla Casa Bianca con Trump.

Macron ha parlato di "incomprensioni" da parte dell'Amministrazione statunitense. Questa, ha spiegato il capo dell'Eliseo, vede l'imposta sul valore aggiunto della Ue come dazi doganali, il che è "falso".

 

Trump: "Ue tratta male nostre aziende, reciprocità dal 2 aprile"

Parlando ai giornalisti dallo Studio Ovale prima del bilaterale con il primo ministro britannico Keir Starmer, Trump ha sottolineato che "non ci piace come ci tratta" l'Unione europea e dal 2 aprile "ci saranno dazi reciproci". "La Ue è dura con gli Stati Uniti in ambito commerciale, non ci piace come tratta le aziende americane", ha aggiunto. "'Dazio' è la mia parola preferita del vocabolario", perché "non vogliamo essere presi in giro da tutto il mondo", ha dichiarato. "Poi ci sono Dio, amore, famiglia, moglie", ha aggiunto Trump.

 

Gli occhi sono puntati sul mercato a stelle e strisce, con una domanda in testa: se Donald Trump dovesse decidere di applicare i tanto anticipati dazi sui prodotti europei importati negli Usa, quali saranno gli effetti sull’industria della moda italiana, che sta vivendo un momento difficile e di cui gli Stati Uniti sono un cliente importante?

La moda tra i settori più colpiti secondo Prometeia

Il vero focus, soprattutto per la fascia alta del mercato, potrebbe però essere a oltre diecimila chilometri da Washington: in Europa, e in particolare i Paesi produttori di beni potenzialmente colpiti come le auto, e in Cina, l’unico Stato a cui siano stati attualmente applicati ulteriori oneri dalla nuova amministrazione Trump (pari al 10%, dal 4 febbraio). La Repubblica Popolare è un mercato del lusso già in difficoltà, la cui ripresa potrebbe essere ulteriormente posticipata.

 

Ulteriori dazi imposti sui prodotti europei importati negli Usa sono ancora un’ipotesi - Trump ha annunciato un aumento del 25% dei tributi sulle auto e altri settori, minacciando di estenderli a tutte le categorie, a partire dal 2 aprile - e tra le aziende vige un clima di incertezza. Secondo uno studio di Prometeia, realizzato già a novembre 2024, la moda sarebbe uno dei settori più colpiti dall’aumento degli oneri: se venissero aumentati del 10% i dazi sui prodotti già tassati sarebbe addirittura il primo comparto industriale italiano per impatto, quasi un miliardo e mezzo di euro, mentre nel caso fossero tassati del 10% indistintamente tutti i prodotti sarebbe seconda solo alla meccanica. Il reale effetto, però, non è calcolabile.

 

Gli Usa terzo cliente del tessile-moda made in Italy: cosa rischiamo

Ciò che è invece risaputa è l’importanza degli Stati Uniti nella bilancia commerciale della moda italiana: gli Usa sono il terzo cliente del tessile abbigliamento made in Italy in valore, dietro Francia e Germania. Nel 2024 (stando ai dati Istat relativi ai primi dieci mesi, elaborati da Confindustria moda) hanno assorbito il 7,5% del totale del tessile abbigliamento pari a 2,3 miliardi di euro, in aumento del 2,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sempre tra gennaio e ottobre, invece, il comparto accessori (calzaturiero, pelletteria, conceria, pellicceria) verso gli Usa ha registrato un -7,6% sul 2023. «L’export dei nostri prodotti in Usa nel 2023 aveva già dato un segnale negativo - ha commentato Giovanna Ceolini, presidente di Confindustria Accessori Moda -. Guardiamo con preoccupazione ai dazi annunciati da Donald Trump: potrebbero rappresentare un altro duro colpo per gli accessori moda italiani, quindi per le nostre imprese e i lavoratori: le nostre esportazioni infatti potrebbero subire un drastico ridimensionamento a causa dell’inevitabile aumento dei costi per i consumatori americani e conseguentemente con il calo della loro volontà d’acquisto».

 

Perché l’effetto sui beni di lusso può essere limitato

I dazi, qualora colpissero i prodotti del tessile-moda-accessori, potrebbero avere un impatto diretto sull’export di beni made in Italy. Un aumento generalizzato dei listini, infatti, potrebbe incidere in negativo sui consumi americani. Ma considerato lo stato attuale delle cose, questo tipo di scenario è il meno probabile. E l’impatto sull’alto di gamma sarebbe il più ridotto.«Non c’è chiarezza su cosa succederà - spiegano Guia Ricci e Filippo Bianchi, entrambi managing director e partner di Bcg - ma per il mercato fashion & luxury riteniamo che questi ipotetici dazi non avrebbero un effetto positivo sui rimpatri delle produzioni negli Usa né un impatto negativo sull’export europeo verso gli Stati Uniti». Ci sono da fare, però delle distinzioni: «Sul mercato del lusso non crediamo ci sarà un impatto: i consumatori al top della piramide sono inelastici ai prezzi e, comunque, il dazio ha effetto sul costo del prodotto e i moltiplicatori, nel segmento dell’alto di gamma, sono il doppio rispetto al mass market: l’aumento del prezzo finale, quindi, sarà molto ridotto. Sul fashion, invece, l’incidenza dell’aumento potrebbe essere maggiore e condizionare i consumi».

Ricci e Bianchi vedono però un potenziale “effetto farfalla” sulla Cina: «I dazi potrebbero rallentare ulteriormente la crescita dell’economia cinese e pesare sui consumi del lusso».A temere un effetto indiretto dei tributi è anche Claudia D’Arpizio, senior partner di Bain&Co: «Non credo che la moda sia una priorità commerciale per gli Stati Uniti, specialmente quando si parla di prodotti di alta gamma per i quali non esistono reali possibilità di sostituire le attuali produzioni e portarle lì, visto che le filiere sono radicate in Italia e in Francia - spiega -. I dazi imposti su settori importanti come quello dell’auto, il farmaceutico o i semi conduttori, però, potrebbero portare a una spirale inflattiva e a un calo della Gdp». Secondo D’Arpizio questo potrebbe accadere «in Cina, ma anche in Europa: penso a Paesi come quelli del Nord o alla Germania. In Italia, Francia e Spagna, invece, le presenze turistiche in aumento potrebbero controbilanciare il calo degli acquisti locali».Per sfuggire a un ulteriore aumento dei prezzi - «che alla lunga sarebbe difficile anche per i brand del lusso da non riversare sui consumatori finali, visto che hanno costi fissi molto rigidi», dice D’Arpizio - gli americani potrebbero aumentare gli acquisti all’estero. In Italia stando alle rilevazioni di Global Blue nel 2024 gli americani sono stati la prima nazionalità per spesa tax free.

L’Europa replica agli attacchi e alle minacce di Trump sui dazi: “Siamo manna per gli Usa”. Sejourné: “Reagiremo con fermezza”


 

“Ue nata per distruggerci” e minacce di dazi al 25%: con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, l’Unione europea deve capire se gli Stati Uniti rimarranno uno storico alleato o decideranno di trasformarsi nel peggior nemico di Bruxelles. Andare allo scontro o negoziare? Questo è il dilemma da sciogliere nei palazzi delle istituzioni Ue, ma nel frattempo non si può tacere di fronte alle ennesime accuse mosse dal presidente americano. Così, dai vertici europei e dai governi degli Stati membri arrivano risposte indirizzate a Washington: “L’Ue reagirà in modo fermo e immediato alle barriere ingiustificate al commercio libero ed equo, anche quando i dazi vengono utilizzati per contestare politiche legittime e non discriminatorie”, ha dichiarato già nella nottata di mercoledì, poco dopo le esternazioni del tycoon, un portavoce della Commissione europea. “L’Ue proteggerà sempre le aziende, i lavoratori e i consumatori europei dai dazi ingiustificati”.

 

Trump ha accusato l’Europa di aver contribuito meno degli Stati Uniti al sostegno all’Ucraina, ed è stato smentito in diretta da Emmanuel Macron, e adesso è tornato ad attaccare il Vecchio Continente affermando che fino a oggi ha sfruttato gli Usa. Così la Commissione ha ribattuto ricordando che “l’Ue è il più grande mercato libero del mondo ed è stata una manna per gli Stati Uniti. Gli investimenti statunitensi in Europa sono altamente redditizi. Le aziende americane sono state in grado di investire e generare entrate sostanziali proprio perché l’Ue è un grande mercato unificato che fa bene agli affari”, ha detto ricordando che il commercio transatlantico di beni e servizi “ammonta a oltre 1,5 trilioni di dollari all’anno, il più grande al mondo”. Per tutti questi motivi ha rilanciato l’appello delle istituzioni Ue a “lavorare insieme per preservare queste opportunità per la nostra gente e le nostre aziende. Non gli uni contro gli altri. L’Europa è sinonimo di dialogo, apertura e reciprocità”.

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Giovedì poi Bruxelles è tornata sull’argomento nel corso del consueto midday briefing con la stampa. E il portavoce per il Commercio, Olof Gill, ha detto che esistono “negoziati tra Ue e Usa. Queste questioni spettano al commissario Maros Sefcovic che era negli Stati Uniti una settimana fa, ci sono stati incontri produttivi con gli americani”. Inoltre, le minacce di Trump, ha tenuto a precisare, sono ancora molto vaghe e per questo ipotizzare una risposta è al momento difficile: “Mancano ancora dettagli su questi potenziali dazi” del 25% su “auto e altre cose. Dunque non sappiamo ancora come e se dovremo rispondere”. A ogni modo, l’Ue si è preparata per “oltre un anno” a questo scenario ed è pronta a reagire. A chi ha chiesto se i dazi possano essere differenziati da Stato a Stato, la Commissione ha risposto che “è tecnicamente possibile“.

 

Anche alcuni leader europei hanno deciso di esporsi. Come ad esempio il premier della Polonia, Paese storicamente molto vicino agli Stati Uniti, Donald Tusk, che ha risposto direttamente al presidente americano: “L’Ue non è stata creata per fregare nessuno. Al contrario. È stata creata per mantenere la pace, costruire rispetto tra le nostre nazioni, creare un commercio libero ed equo e per rafforzare la nostra amicizia transatlantica”. Il vicepresidente della Commissione europea con delega alla Strategia Industriale, Stéphane Séjourné, ha promesso che “l’Europa reagirà immediatamente e con fermezza. Gli ostacoli al commercio equo sono ingiustificati, soprattutto tra partner commerciali. È una situazione in cui tutti perdono”.

Una soluzione è certamente quella di stabilire nuove relazioni commerciali con i grandi Paesi emergenti. Non è un caso che il primo viaggio del nuovo mandato di Ursula von der Leyen sia in India, definita nel suo intervento al Forum di Davos “la più grande democrazia e il più grande Paese del mondo”. Proprio da Delhi, la presidente della Commissione ha fatto un riferimento indiretto allo scontro, per il momento solo verbale, in corso tra le due sponde dell’Atlantico: “In un’epoca di conflitti e intensa competizione, c’è bisogno di amici fidati. Per l’Europa, l’India è un’amica e un’alleata strategica. Discuterò con Narendra Modi di come portare la nostra partnership strategica al livello successivo”, ha scritto su X.

 

Più pacata la reazione del premier britannico, Keir Starmer, proprio nel giorno del suo incontro con Trump a Washington, con la quale chiede una collaborazione fruttuosa sia per gli Usa sia per l’Ue: “Il mondo sta diventando sempre più pericoloso ed è più importante che mai restare uniti fra alleati”, si legge in una nota di Downing Street che suona come un appello al presidente americano. Tema a cui Starmer ha fatto riferimento al suo arrivo in un breve discorso dinanzi ai giornalisti britannici nella residenza dell’ambasciatore del Regno Unito a Washington: “Noi – ha detto rivolgendosi indirettamente a Trump – vogliamo lavorare con te, vogliamo riceverti presto in Gran Bretagna e costruire una nuova partnership perché la storia dimostra che quando lavoriamo assieme i risultati arrivano”.

Oltreoceano, Canada e Messico dovranno affrontare gli attacchi commerciali del vicino statunitense che ha già promesso dazi al 25% per i due vicini e del 10% nei confronti della Cina. “Continuano ad arrivare nel nostro Paese fiumi di droghe dal Messico e dal Canada a livelli altissimi e inaccettabili. Una grande percentuale di queste, molte sotto forma di Fentanyl, sono prodotte e fornite dalla Cina – ha attaccato Trump in un post su Truth – Più di 100mila persone sono morte lo scorso anno a causa della distribuzione di questi veleni pericolosi e che creano forte dipendenza. Milioni di persone sono morte negli ultimi due decenni. Le famiglie delle vittime sono devastate e, in molti casi, distrutte. Non possiamo permettere che questo flagello continui a danneggiare gli Stati Uniti. I dazi proposti entreranno effettivamente in vigore, come previsto, il 4 marzo. Allo stesso modo alla Cina verrà addebitata una tariffa aggiuntiva del 10%”.

Le tensioni internazionali sul fronte commerciale hanno spinto anche al fallimento del G20 Finanze che si tiene a Città del Capo, in Sudafrica. I ministri che si sono riuniti, mentre si contano defezioni da numerose delegazioni, fra cui Usa e Cina, non hanno raggiunto l’accordo per la stesura del comunicato finale che normalmente conclude le riunioni. La presidenza di turno del G20 ha invece semplicemente diffuso un riassunto dei lavori che non cita la parola ‘dazi’ e dà conto di un sostegno “complessivo” dei ministri e governatori all’importanza di rafforzare la cooperazione multilaterale.



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