Ci sarà un nuovo processo di appello per il delitto di Arce in cui morì Serena Mollicone. Lo hanno deciso i giudici di Cassazione accogliendo l'istanza della Procura generale della Corte d'Appello di Roma contro l'assoluzione dell'ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, della moglie Anna Maria e del figlio Marco che erano accusati dell'omicidio avvenuto nel giugno del 2001 nel centro del Frusinate.
Dopo 24 anni di ipotesi investigative, processi, colpi di scena, la Corte di Cassazione apre dunque un nuovo capitolo sul caso.
"Il mio pensiero va a mia sorella che non rivedrò più nella mia vita così come mio padre. Noi confidiamo nella giustizia che attendiamo da 24 anni. Da oggi abbiamo speranza". Così Consuelo, sorella di Serena Mollicone, dopo la decisione della Cassazione.
"Si riapre una possibilità per noi familiari e per la comunità intera. Quando si maltratta e si riduce una bambina in quelle condizioni non possiamo far finta che non ci interessa. Siamo contenti proprio per questo senso di apertura alla ricerca ancora della verità". Così Antonio Mollicone, lo zio di Serena, uccisa nel giugno 2001, dopo la decisione della Corte di Cassazione.
"Aspettiamo le motivazioni della sentenza. Ci sono comunque elementi a discarico dei Mottola che non potranno mai essere messi in discussione anche all'esito di un altro dibattimento". Così l'avvocato Mauro Marsella, che insieme a Francesco Germani e Piergiorgio Di Giuseppe, difende la famiglia Mottola.
La Cassazione ha dunque deciso per l'annullamento dell'assoluzione della famiglia Mottola, Franco, Anna Maria e il figlio Marco, e dei carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, per la morte di Serena. Il Procuratore aveva valutato "fondato" l'accoglimento del ricorso, facendo riferimento a diversi aspetti. Chiesto, quindi, l'annullamento della sentenza impugnata in secondo grado: si è aperto, quindi, un processo bis di appello. Tra le altre cose, viene sottolineato come la sentenza non avrebbe motivato la presenza di Serena Mollicone in caserma
Le motivazione del Procuratore generale: “Sentenza carente”
A motivare la decisione del procuratore generale il "macro vizio" della sentenza per mancanza di motivazioni: è "una sentenza totalmente carente" che ha "atteggiamento pilatesco". Il pg ha affermato inoltre che quanto cristallizzato dalla Corte d'Assise di appello nella Capitale "omette di motivare sulla presenza di Mollicone quella mattina nella caserma di Arce. Non sono stati valutati in maniera unitaria una pluralità di indizi".
Nel corso del suo intervento il rappresentante dell'accusa ha detto di "condividere e sostenere il ricorso della procura generale di Roma" contro una sentenza che presenta "plurime violazioni di leggi".
La difesa: “Contro i Mottola prove illogiche e forzate”
Il Pool Difesa Mottola ha invece ribadito quanto già affermato il 5 novembre 2024, in occasione del ricorso per cassazione da parte della Procura generale.
"Premesso che se il lavoro investigativo fosse stato fatto bene non ci troveremmo di fronte agli errori investigativi "Carmine Belli" e "Famiglia Mottola", ribadiamo che ci troviamo di fronte all'innamoramento del sospetto e dell’intuizione sbagliati, alla fissazione su un’ipotesi apodittica, all'adattamento dei fatti alla teoria e non della teoria ai fatti. Siamo certi che gli inquirenti stiano insistendo nell’errore…seguendo il nulla mischiato col niente: illazioni, pettegolezzi, forzature ed errori congetturali. Si sono basati su prove scientifiche illogiche, forzate e sballate, ipotesi investigative senza valore, su nessuna ricostruzione logica di movente, di motivazioni, di circostanze, di situazioni e di cronologie temporali. Non hanno indizi contro gli imputati, non hanno prove, tutto è a favore della tesi della difesa. Stanno sprecando tempo, risorse, piste investigative e i soldi del contribuente. Ci troviamo di fronte a un sistema investigativo che se 'errorifico' difende i propri errori, nonostante l’assenza di elementi concreti a carico degli imputati. Tale sistema si scatenò contro l'innocente Carmine Belli, oggi si è rinnovato contro la Famiglia Mottola. Quelli che 20 anni accusarono il carrozziere Belli oggi accusano i Mottola senza portare nulla di concreto, se non illogicità e contraddizioni", scrive in una nota, il criminologo Carmelo Lavorino, coordinatore del pool della difesa dei Mottola.
Roma, all'esterno della Cassazione in attesa della sentenza per l'omicidio di Serena Mollicone, 11 marzo 2025
A Roma in piazza Cavour, era stato organizzato un presidio per chiedere giustizia per Serena Mollicone proprio davanti alla Corte di Cassazione.
In piazza sono stati esposti due striscioni, uno con su scritto "24 anni di verità e giustizia negata, ora Serena non merita di essere archiviata" e uno di Telefono Rosa di Frosinone su cui si legge: "Giustizia per Serena, mai più storie di ordinaria violenza".
Era il 1 giugno 2001 quando Serena uscì di casa per una visita dal dentista e non fece più ritorno. Due giorni dopo, il suo corpo fu ritrovato in un bosco, con mani e piedi legati, la testa avvolta nel nastro adesivo. L'autopsia rivelò che era stata colpita violentemente alla testa e poi soffocata.
Un delitto brutale, che fin dall'inizio si rivelò pieno di ombre e depistaggi. Le prime indagini si concentrarono su un carrozziere del paese, Carmine Belli, arrestato e poi assolto. Ma nel 2008 emerse una testimonianza inquietante: il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi dichiarò di aver visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce la mattina della scomparsa. Pochi giorni dopo, Tuzi fu trovato morto: suicidio, secondo la versione ufficiale, ma con troppi dubbi e coincidenze.
Le indagini ripresero slancio nel 2011, quando una perizia stabilì che il colpo alla testa subito da Serena poteva essere compatibile con un impatto contro una porta della caserma. La pista portò alla famiglia Mottola, all'epoca residente proprio all'interno della struttura. Secondo l'accusa, Serena sarebbe stata uccisa dopo una lite con Marco Mottola e il suo corpo sarebbe stato portato via per inscenare un depistaggio. Nel 2019, dopo anni di indagini, la procura di Cassino portò a processo i tre Mottola e due carabinieri, Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Ma il dibattimento, durato anni, non ha portato alla verità sperata: la Corte d'Assise di Cassino prima e la Corte d'Appello poi hanno assolto tutti gli imputati per insufficienza di prove. Ora l'ultimo verdetto spetta alla Cassazione.
La famiglia di Serena e la procura di Cassino sperano ancora in un ribaltamento della sentenza, ma se l'assoluzione saraà confermata, il caso potrebbe restare uno dei più grandi misteri irrisolti della cronaca italiana.