Paesi G20. L'Italia in fondo alla classifica dei salari. In vent'anni perso il 9% del potere d'acquisto.

di redazione 24/03/2025 ECONOMIA E WELFARE
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I dati nel Rapporto dell’Oil. Tra i Paesi del G20 record negativo del nostro Paese: in Francia, nello stesso periodo, c’è stato un aumento di circa il 5%, in Germania di quasi il 15%

Salari reali, nessuno peggio dell’Italia: rispetto al 2008 le buste paga hanno perso l’8,7% del potere d’acquisto
 
L’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: -8,7%. In Francia, nello stesso periodo, c’è stato un aumento di circa il 5%, in Germania di quasi il 15%. Sono i dati contenuti nel focus sull’Italia del Rapporto mondiale sui salari 2025-26, dell’Oil (qui il link al rapporto), Organizzazione internazionale del lavoro.

Negli ultimi tre anni, dopo un calo dei salari reali del 3,3% nel 2022 e del 3,2% nel 2023, nel 2024 c’è stato comunque un aumento del 2,3%, comunque insufficiente a recuperare la perdita di terreno rispetto all’inflazione, che nel 2022 aveva raggiunto il picco dell’8,7%. 
Proprio l’inflazione, che penalizza maggiormente le retribuzioni più basse, ha avuto un peso nel determinare la cattiva performance delle retribuzioni in Italia, insieme a una serie di fattori strutturali, a cominciare dal nanismo della struttura produttiva, dalla bassa produttività, in particolare nei servizi, dagli scarsi investimenti in innovazione tecnologica e formazione dei lavoratori. 

Contratti insufficienti: la produttività cresce, le retribuzioni no

Tuttavia, osserva l’Oil, negli ultimi due anni la produttività è cresciuta più dei salari e quindi, in teoria, ci sarebbe uno spazio per far salire le retribuzioni. Il fatto è, sottolineano i ricercatori, che, nonostante la diffusione dei contratti nazionali di lavoro, che in Italia coprono la quasi totalità dei lavoratori, il rinnovo degli stessi non si è dimostrato, nella media, in grado di mantenere i salari almeno in linea con l’aumento dei prezzi. Questo è successo anche perché il modello stesso della contrattazione appare inadeguato: da un lato, prendendo come riferimento un indice d’inflazione, l’Ipca, al netto dei prezzi dei beni energetici importati, non copre una delle voci che hanno gravato di più sui bilanci familiari, e dall’altro, demandando di norma la distribuzione dei guadagni di produttività ai contratti aziendali, offre questa possibilità solo a una minoranza di lavoratori, in genere quelli delle grandi aziende.

Forti diseguaglianze tra lavoratori

Completa il quadro, una situazione di forti diseguaglianze tra lavoratori italiani e stranieri, con questi ultimi relegati nelle attività meno retribuite, tanto che il loro salario mediano è del 26% inferiore a quello degli italiani che fanno lo stesso lavoro; tra donne e uomini, con le prime che hanno redditi da lavoro nettamente inferiori, anche perché costrette molto più frequentemente al part time; e tra giovani e anziani, con i primi che, soprattutto se con un alto titolo di studio, ricevono stipendi medi decisamente inferiori rispetto a quelli che prenderebbero negli altri Paesi avanzati. Insomma, una situazione, complessa, che viene da lontano e rispetto alle quali le risposte degli attori in campo, governo, imprese e sindacati, appaiono insufficienti. 



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