The last showgirl
Il ritratto di un'umanità marginale e sconfitta in un film bellissimo con un cast eccezionale.

In The last showgirl, Las Vegas è una città piena di luce e di sole perennemente sfocata.
Gli attori, invece, sono sempre perfettamente a fuoco.
Così come lo sono gli ambienti nei quali vivono.
Il casinò nel quale lavora come cameriera Annette, interpretata da una Jamie Lee Curtis che non ha paura di mostrare sullo schermo la sua età ed i segni del tempo; le rughe, le smagliature e la pancia, mentre danza ubriaca su di un cubo.
La casa nella quale vive Shelly Gardner (Pamela Anderson), un antro/rifugio dal mobilio pesante, nel quale la protagonista; spesso al buio, rivede vecchi film su di un enorme televisore incorniciato, non a caso, da due tende rosse che fanno sembrare lo schermo il palco di un teatro; un luogo che richiama alla mente la villa di Viale del tramonto.
Infine il teatro nel quale si esibisce Shelly e le sue amiche Jodie (Kiernan Shipka) e Mary-Anne (Brenda Song) del quale vedremo solo il dietro le quinte.
Non è un caso che tutti gli ambienti esterni siano invece ripresi senza essere messi a fuoco; la città del gioco d’azzardo è uno sfondo indistinto.
Certo, ogni tanto ne vediamo i luoghi più iconici e le luci sfavillanti ma, per lo più, Shelly e gli altri personaggi del film si muovono in anonime periferie.
Il gioco sulla messa a fuoco ne sottolinea la loro estraneità rispetto alla sfavillante Las Vegas, che qui, chiaramente, incarna la massima espressione del sogno americano.
A quel sogno Shelly ha dedicato tutta la sua vita, ballando nel Razzle Dazzle.
Lo show, oramai semi deserto, sta per chiudere e Shelly si trova costretta a fare i conti con sé stessa ed il suo passato.
In particolare con Hannah (Billie Lourd) e con Eddie (un immenso Dave Bautista), tecnico delle luci del Razzle Dazzle.
Impossibile dire di più sui legami che legano i tre senza rovinare la visione di un film che riserva molte sorprese.
Gia Coppola mette in scena un’umanità sconfitta e dolente, senza un futuro certo, che si ritroverà senza pensione e senza assicurazione sanitaria e che cerca di sopravvivere come meglio può.
Sono fratelli dei protagonisti di titoli, solo per citarne alcuni, come Nomadland, American Honey, Un sogno chiamato Florida o The wrestler, altra storia di un perdente che ricorda molto quella di Shelly.
Shelly ha vissuto tutta la sua vita trascurando gli affetti ed inseguendo un sogno fatto di strass e paillettes ed ora si culla nel ricordo di quei giorni magnifici che racconta a Jodie e Mary-Anne.
Il sogno, probabilmente, non è mai stato reale.
Glielo ricorderà per prima Hannah, quando, impietosamente, le sbatterà in faccia il fatto che il Razzle Dazzle non è altro che un triste spettacolo di ballerine seminude nel quale Shelly, oramai, occupa una delle ultime file.
Lo stesso farà il direttore del casting (Jason Schwartzman) che la metterà dinnanzi alla sua mediocrità di ballerina e al fatto che, probabilmente, all’epoca venne scelta perché giovane e bella cosa che ora non è più.
(Non è vero, Pamela Anderson non solo è bravissima ma anche bellissima).
Abbiamo a che fare con personaggi che improvvisamente scoprono come il sogno non sia altro che un’illusione, una trappola dalla quale non si può più tornare indietro; come accadrà a Jodie, terrorizzata dal fatto che la madre non le risponda più e lei non sappia che fare.
Esistenze solitarie come il piatto riscaldato al microonde che consuma Eddie nel suo ufficio dal quale, probabilmente, non esce mai.
Ed infine ci sono queste donne, che o sono troppo vecchie per ballare o per servire ai tavoli oppure, se ancora giovani, non sono altro che pezzi di carne da esibire mentre si agitano lascive e volgari su di un palco.
L’altra faccia dell’America, raccontata in un film meraviglioso con un cast straordinario che lascia dentro ha il sapore agrodolce di queste esistenze solitarie, sradicate e lasciate ai margini.
EMILIANO BAGLIO
