In scena "Dei figli". Della trilogia dedicata alle relazioni familiari ecco la preghiera laica sul complesso rapporto tra genitori e figli
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Napoli, Teatro Nuovo, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, dal 10 al 13 aprile 2025 è andato in scena "Dei figli" di Mario Perrotta.
“Ma è vero che fa ancora il cambio di stagione a casa della mamma?”. A sipario aperto, sull' innesto scenografico di Fabrizio Magara, fra gli alti sedili in ferro battuto, l’“adultescenza” contemporanea prende forma nei panni di Luigi Bignone, Dalila Cozzolino e Matteo Ippolito; specchi di una società che ha difeso così tanto i propri figli da renderli privi di spina dorsale. Melampo, Aurora e Ippolito sono pieni di sogni irrealizzabili o frutto di fallimenti genitoriali?
L’opera teatrale è l’ultima della trilogia dedicata alle relazioni familiari, iniziata con "Nel nome del padre" e "Della madre", dichiarata preghiera laica sul complesso rapporto tra genitori e figli nel nostro tempo. Il regista, nelle vesti del padrone di casa, interpreta Gaetano, forse tirando fuori qualche cliché di troppo con la storia dell’omosessualità, che ormai non commuove più nessuno, ma è coerente con l’intento di stimolare una riflessione più ampia su come le dinamiche familiari influenzino la crescita di tutti noi, da sempre. Ciò detto, la sua presenza scenica è forte, pregna della consulenza in cui ha fortemente creduto, dello psicanalista Massimo Recalcati, che sensibilizza sull’attuale tendenza ad aver cronicizzato l’adolescenza.
I quattro attori vivono sotto lo stesso tetto, ma, a differenza delle serie americane dove questo significa autonomia, il legame col nido risulta ingombrante. Pertanto, in scena sono presenti dei grandi video-schermi, simbolo di figure introiettate in modo castrante e di figli che rappresentano proiezioni narcisistiche. La coppia di genitori di Melampo, interpretata da Arturo Cirillo e Maria Grazia Solano, asseconda le manie di grandezza di un ragazzino che vorrebbe occupare il Polo Nord, perché incapace di relazionarsi con contesti più concreti, come il negozio sotto casa. In questo, il proprietario della casa-studenti, più adulto, più “boomer”, cerca di aprirgli gli occhi, ma ciò che è evidente è che, nonostante non ci siano porte né muri, ognuno vive nel proprio micromondo. Forse l’unico vero ascolto dell’altro è quello in cui ci si finge altro da sé, come quando Gaetano conversa in chat erotiche, illuminando però solo il suo volto e lasciando all’immaginazione i corpi delle voci di Saverio La Ruina, Marica Nicolai, Paola Roscioli e Maria Grazia Solano.
Altra famiglia “millennial” è quella interpretata da Alessandro Mor e Paola Roscioli: dinamica matriarcale, un padre fragile, un figlio succube di Aurora, che appare almeno realizzata professionalmente come avvocato (forse l’unico giovane in crescita, proprio perché ha genitori assenti?). Il focus sembra spostarsi sulla vita immaginaria di sua sorella Luna, con Marta Pizzigallo, vestita anni ’80, che si culla nella credenza che “se le cose stanno ferme allora sono in equilibrio”. Il messaggio di tutto l’impianto scenico vuole proprio allertare sul suo opposto: “se le cose stanno ferme, marciscono”!
Questo spettacolo può piacere tanto o poco, ma ci rappresenta. Oggi, nel 2025. È indubitabile. Nato dalla rete di collaborazioni tra il Teatro Stabile di Bolzano, la Fondazione Sipario Toscana Onlus, La Piccionaia e Permàr, fotografa la generazione che “a 40 anni si è ancora giovani”, autogiustificandosi con guizzi di comicità misti ad amarezza. Gli enormi smartphone sulla scena ci inglobano in un limbo in cui il futuro sembra perdente per chi ha le spalle coperte. Una grande masturbazione mentale “come se non ci fosse un domani”, che la sera della prima è stata vista e applaudita da persone mature convinte di essere diverse dai protagonisti della pièce, proprio mentre il cellulare gli suonava nella tasca, disturbando la rappresentazione.
