La difesa dell'ambiente un mestiere pericoloso. Assassinati ogni anno 100 attivisti
Nel 2014 aumentato del 20% il numero degli omicidi. L'Honduras è il Paese più pericoloso per chi svolge questa attività
Ogni settimana due attivisti che si battono per la difesa dell’ambiente vengono uccisi e, cosa forse ancora più drammatica, nella maggior parte dei casi il reato resta impunito. Questo il triste messaggio che emerge dal nuovo rapporto realizzato da Global Witness, intitolato “Quanti altri ancora?”. La Ong britannica per la difesa dei diritti umani ha documentato 116 omicidi avvenuti nel 2014 in 17 paesi differenti, con il triste primato al Brasile, dove sono stati eliminati 29 attivisti.
“In tutto il mondo i difensori dell’ambiente vengono uccisi in pieno giorno, rapiti, minacciati o processati come terroristi in nome del cosiddetto “sviluppo” – ha dichiarato Billy Kyte, di Global Witness. – I veri autori di questi crimini, per i quali hanno forte interesse i governi e le grandi aziende, restano impuniti”.
Una fotografia del drammatico fenomeno purtroppo non esaustiva visto che, sempre a detta della Ong, i numeri sono per forza di cose incompleti tenuto conto della grande difficoltà di raccogliere dati certi in molte zone dell’Asia e dell’Africa, dove in quest’ultimo caso gli omicidi riguardano persone che si battono per rendere il mercato dei diamanti pulito e pienamente legale.
Quasi la metà degli assassinati sono vittime che lottano per difendere la propria terra, spesso indigeni, piccole comunità che non vogliono veder devastato il proprio territorio dall’arroganza delle società minerarie o di produzione agricola, o che si oppongono alla costruzione di grandi infrastrutture come le dighe in Sud America. Si battono contro la deforestazione, contro lo stravolgimento delle colture tradizionali, contro l’allevamento intensivo, le espropriazioni.
Alcuni nomi di attivisti ambientali uccisi lo scorso anno: Atilano Roman Tirado, qualcuno gli ha sparato mentre conduceva il suo programma settimanale in radio. La sua battaglia era in favore di 800 famiglie contadine allagate dalla costruzione di una diga. Nel settembre, in una regione remota dell’Amazzonia, Ucayali in Perù, sono stati assassinati quattro attivisti: Edwin Chota Valera, Leôncio Quincima Meléndez, Jorge Ríos Pérez e Francisco Pinedo. Ucciso da boscaioli illegali che li accusavano di aver invaso il loro territorio. Daniele Humberto Sanchez Avendaño, colombiano di soli 19 anni, assassinato il 7 ottobre. Aveva già subito ripetute minacce.
Fra le aree più colpite l’America Latina. I Paesi sono Honduras, Brasile e Colombia. Segue l’Asia, con le Filippine. In Africa invece la difesa riguarda gli animali, uccisi dai bracconieri per sottrarre avorio. Nel 2014, il Paese che ha registrato i maggiori omicidi è stato il Brasile con 29. La Colombia è secondo con 25 omicidi. Terze le Filippine con 15 morti. Seguono un po’ più indietro Congo, Mozambico e Bangladesh.
Il maggior numero di omicidi è stato registrato in Brasile, ma secondo Global Witness il posto più pericoloso per un attivista ambientale è l’Honduras. Dal 2010 al 2014 sarebbero 101 le persone uccise, numero che dà al piccolo paese centroamericano il triste record di uccisioni.
La questione è ovviamente in primo luogo culturale. Vi è la diffusa convinzione, nei paesi ricchi e progrediti come in quelli più poveri che chiunque si batta per la difesa del territorio sia un nemico del progresso e dello sviluppo, motivo che legittimerebbe l’uso sproporzionato della violenza contro di essi.
Anche l’Onu sta cercando di sensibilizzare le opinioni pubbliche mondiali verso questo inquietante fenomeno, i numeri parlano chiaro secondo l’Agenzia mondiale: dal 2007 al 2012 quello degli attivisti ambientali è il secondo gruppo più vulnerabile tra i difensori dei diritti umani.
Eppure, per fortuna, le minacce, le violenze, gli omicidi, non fermano centinaia di persone che continuano a battersi per la difesa del proprio territorio, come ad esempio i Ka'apor, una tribù amazzonica di poco meno di tremila individui che hanno deciso di organizzarsi autonomamente e di passare al contrattacco, difendendo la propria terra e fronteggiando i tanti taglialegna illegali che si inoltrano nelle terre amazzoniche con tutti gli strumenti di cui dispongono, tecnologia compresa. Una battaglia che gli indigeni stanno portando avanti nella quasi totale indifferenza delle autorità brasiliane e che gli è costata già quattro vittime. Nonostante tutto il loro esempio sta suscitando enorme eco in tutto il Sud America.