Putin nuovo protagonista della politica mediorientale
Le iniziative politiche attuate da Vladimir Putin nell’area mediorientale accrescono la sua immagine diplomatica. Si sta accreditando come mediatore
cardinale nel tormentato quadro islamico denso di implicazioni belliche e politiche imprevedibili, soprattutto se si pensa alla vicinanza con Israele e alle opzioni strategiche statunitensi.
Il premier russo ha convocato a Mosca Bashar Al Assad che non varcava i confini siriani dal 2011, per individuare o meglio indicare al suo interlocutore possibili soluzioni all’estenuante e cruento scontro militare che si protrae dal 2011, l’anno delle primavere arabe.
Il leader russo è consapevole che l’intervento armato è difficilmente prorogabile. Dopo circa settecento missioni compiute dai russi, 250mila morti, ondate migratorie di massa, orrori sulle popolazioni, devastazioni di tesori archeologici, il Cremlino ritiene fondamentale l’apertura di un tavolo di trattative. In una regione anestetizzata, indifferente finora a qualsiasi negoziato credibile il premier russo lancia la sua scommessa.
Il disegno strategico di Putin è di ampio raggio, non si limita alla sola Siria. Si rivolge alla Turchia, all’Egitto, all’Arabia Saudita, alla Giordania, senza contare il suo affidabile alleato iraniano.
E ovviamente è attesa la reazione degli Stati Uniti il suo grande interlocutore, al piano offerto da Mosca.
Domani si incontreranno a Vienna i rispettivi Ministri degli Esteri Lavrov e Kerry. Altamente improbabile che possano raggiungere accordi storici