Il voto sulla Riforma Rai. Pasticciaccio di fine anno?
Il 2015 si concluderà per i lavori parlamentari con un voto tra i più delicati. E troppo spesso capita che quando alla Camera o al Senato si votino provvedimenti così importanti, chissà perché, si arriva a farlo proprio un attimo prima delle vacanze, di Natale o della vigilia di Ferragosto che sia.
E così anche questo Natale avrà il suo voto decisivo su uno degli ambiti decisivi per la vita democratica culturale e sociale dell’Italia. Ossia la Riforma Rai. Si sarebbe dovuto votare giovedì 17 dicembre, ma è mancato il numero legale in Senato per il voto finale sul disegno di legge. I senatori hanno votato i singoli articoli del testo, ma al momento di licenziare il provvedimento, dopo le 19, l’assenza di alcuni senatori ha reso impossibile procedere.
Il voto finale slitta al termine dell’esame della legge di stabilità, che dovrebbe arrivare lunedì in commissione di bilancio al Senato. Salvo ulteriori assenze strategiche e intoppi creati ad “arte”, il testo dovrebbe essere votato martedì 22 dicembre. Tra i banchi del Senato sono già molti infatti quelli d’accordo a rinviare un voto così importante a dopo il periodo festivo.
Tra gli assenti il piccolo ma combattivo gruppo dei verdiniani che sulla rai evidentemente contano e non poco per accreditarsi come valido alleato governativo, magari ricevendone in cambio il dovuto beneficio.
Assente buona parte di area popolare (Ncd e Udc), e di lega autonomie. Tutto ciò a dispetto di un pomeriggio a Palazzo madama in cui i senatori quasi tutti presenti avevano votato e discusso della Legge di Stabilità. Il sospetto che le assenze sono state appositamente concordate è in dunque più di un sospetto.
Il Disegno di legge, varato già a Marzo prevede l’introduzione della figura dell’amministratore delegato, con larghi poteri di autonomia di indirizzo gestione e controllo, poteri che una volta votata la legge dovrebbero essere a disposizione di Antonio Campo Dall’Orto, manager televisivo e uomo di fiducia, che Renzi ha voluto mettere a capo della nuova viale Mazzini, potendo per questo scegliere e nominare i direttori di rete e delle testate
La riforma, a regime, prevede anche nuovi criteri per l’elezione del consiglio di amministrazione che passerà dagli attuali nove a sette componenti: quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall'assemblea dei dipendenti.
Da più parti si alzano voci preoccupate e nettamente contrarie a questa che viene definita più una controriforma che una vera Riforma. In Parlamento da settimane i 5Stelle si battono almeno qualche articolo tra i più contestati non passi e così alcuni esponenti della società civile, tra cui il professore Stefano Rodotà si sono espressi più volte contro questa riforma. La preoccupazione di fondo, certamente più che motivata, è che il senso finale del provvedimento che si dovrebbe votare all’antivigilia di Natale è quella di porre completamente la Rai, sotto lp’egida poco rassicurante e molto poco liberale di Palazzo Chigi.
D’altronde i recenti attacchi del premier nei confronti della stampa critica verso il governo non lasciano sperare in nulla di buono.
Per Vincenzo Vita, in un recente articolo apparso su Articolo 21, si dice fortemente preoccupato perché quello che si sta delinenando è la cornice “della vecchia grida di Gasparri che ha un valore in sé, la conquista della stanza dei bottoni; e per sé, l’apertura di un’altra fase: centralistica, sorvegliata, italianamente autoritaria. Con uno schiaffo solenne alla giurisprudenza costituzionale, ampiamente evocata da Roberto Zaccaria nel corso dell’audizione svolta alla Camera dei deputati a nome dell’associazione “Articolo21”, rigorosa nell’affermare i principi dell’indipendenza, dell’autonomia e del pluralismo. Siamo al cospetto del peggior conservatorismo, persino surreale. E sì, perché nell’era delle piattaforme multi e cross mediali, nonché della discussione sull’accesso aperto e sulla neutralità della rete -in cui il pubblico bene comune potrebbe e dovrebbe svolgere un ruolo di garanzia per tutti, senza discriminazioni- il pasticciaccio perpetrato ha il sapore di un vecchio disco a 45 giri, brutto e pieno di fischi”.
Vita pone infine poi il punto sulla firma del Presidente della Repubblica Mattarella, ricordando come l’attuale inquilino del Quirinale nel 1990 si dimise da ministro dopo che il governo di cui faceva parte approvò la legge Mammi’.