Che fine farà l'industria chimica italiana?
In foto il polo chimico di Ravenna
La chimica italiana e la sua storia, anche importante, sta, forse, arrivando al capitolo finale. L’ultimo tentativo per trovare una via d’uscita percorribile e non cedere Versalis, la controllata del gruppo Eni nei settori della chimica di base, della petrolchimica e delle materie plastiche, lo hanno fatto i sindacati, ma non è andato a buon fine.
Ma ormai la strada sembra si è fatta davvero impervia affinché il nostro paese non perda un altro pezzo della sua industria strategica. Come ha tenuto a precisare - ma questo è il compito di un ministro? – il Ministro per lo sviluppo economico Federica Guidi, l’Eni è si una società pubblica ma con un forte statuto autonomo. Ossia, se pubblicamente il governo non fa passare giorno senza annunciare la difesa del tessuto economico nostrano, nella verità dei fatti la situazione è ben diversa, perché sulla cessione di Versalis in mani straniere in pratica Renzi e il suo governo non hanno fatto nulla.
Ad oggi l’unica certezza rimane lo sciopero del settore chimico per il 20 Gennaio prossimo, perché su chi sarà l’acquirente della dismettente Versalis c’è ancora poca chiarezza. Da mesi si cita la Sk capital, un fondo statunitense poco noto, mai affacciatosi prima sui grandi palcoscenici finanziari internazionali. La proprietà del fondo è di Barry Siadat e Jamshid Keynejad, rispettivamente presidente e managing director. La sede è a New York con 18 dipendenti (di cui 10 assunti nel 2015). La sua capitalizzazione è di 1 miliardo di dollari, totalmente impegnati in 8 aziende partecipate quasi tutte di piccola dimensione, essenzialmente attive negli Stati Uniti. Tale portafoglio genera utili per 8 miliardi di dollari all’anno. Sul suo sito web si possono trovare queste e ulteriori informazioni a proposito del portafogli globale del fondo.
La scalata aVersalis è cominciata meno di un anno fa quando la SK Capital si è fatta avanti per l’acquisizione del 70% di Versalis, che secondo gli analisti di mercato potrebbe valere circa 1 miliardo e 200 milioni. In realtà, il Fondo potrebbe partecipare inizialmente alla Versalis con una cifra inferiore, circa 200 milioni di euro per poi proseguire i pagamenti attraverso gli utili fatti con la gestione operativa di Versalis, il tutto finanziato da una banca esterna presso cui sarà impegnata a garanzia la stessa Versalis.
Quali sono i punti poco chiari di questo scenario, che fanno dire ai sindacati che difendono circa 6000 posti di lavoro in tutta Italia, che la Sk non sarebbe affidabile?
Innanzitutto la prima osservazione, opinione sostenuta non solo dai sindacati ma anche da molti analisti finanziari, è che l’SK non avrebbe la forza finanziaria sufficiente e necessaria a sostenere sia l’impresa di acquisizione sia i futuri progetti di investimento. Secondo questo punto di vista, una volta effettuata l’acquisizione il fondo americano si servirà di Versalis come di una specie di bancomat. Quindi niente investimenti, ad esempio nell’energia pulita e nelle tecnologie di ultima generazione, ma semplicemente lo svuotamento del core business del gruppo Versalis. Inoltre le preoccupazioni dei sindacati e di quanti si sono dichiarati contrari a questa acquisizione è emersa in una recente puntata di Report in cui, secondo l’inchiesta lì presentata, SK Capital non ha fondi sufficienti per l’acquisto, operazione che potrebbe portare a termine facendosi prestare denaro dalle banche e tra le banche in questione vi è la Banca d’affari Rothschild, nella quale è vicepresidente l’ex amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni.
Eni al momento non si è sbottonata, neppure dopo le indiscrezioni del tema della Gabanelli, se non per affermare l’intenzione di mantenere una “partecipazione significativa in Versalis”. Quanto significativa non è dato di sapere allo stato attuale della trattativa, ma sempre secondo la nota ufficiale della Società del Cane a sei zampe: “lo scenario mondiale e di business in continua evoluzione, evidenzia ancora limiti strutturali che necessitano l'individuazione di un partner per garantire continuità al piano investimenti”.
Parole che non hanno tranquillizzato i lavoratori soprattutto se si pensa a cosa abbiamo portato negli ultimi anni cessioni, dismissioni e acquisizioni straniere di pezzi rilevanti della nostra industria.