Referendum Trivelle. Quorum non raggiunto. Analisi e conseguenze politiche del voto
Il referendum sulle concessioni per le trivellazioni in mare delle società petrolifere non è passato, il quorum non è stato raggiunto, l’affluenza si è fermata al 32,1%.
Cerchiamo di analizzare i punti cruciali di questa tornata referendaria e inquadrare alcuni possibili scenari futuri. Partiamo dal governo.
L’esecutivo si è mostrato pressoché compatto nel sostenere quella che da subito era apparsa come la linea scelta dal presidente del consiglio Renzi. Una linea in cui si sono riconosciuti ministri e sottosegretari senza distinzione dichiarazioni che facessero pensare ad un pur minimo dissenso. Renzi non ha fatto mistero della sua preferenza di sostenere la linea astensionista, suscitando notevoli polemiche per il fatto che un presidente del consiglio, terza massima carica dello Stato, a rigore di dovere istituzionale e di opportunismo politico non dovrebbe mostrarsi così apertamente a favore per il fatto che i cittadini non esprimano il proprio diritto-dovere di voto.
IL partito di maggioranza relativa, il Pd a differenza del governo ha mostrato differenze di posizione non di poco conto. La maggioranza interna ha appoggiato, anche in modo scomposto, leggasi alcuni tweet di esponenti non di primo piano che hanno addirittura mostrato una sorta di fastidio nei confronti degli elettori che hanno deciso di esprimersi, la linea renziana. Non così la minoranza che non h perso occasioni per sostenere invece la necessità del diritto-dovere del voto, nonché di schierarsi apertamente con le ragioni del SI, alla luce soprattutto degli sviluppi del petrolio-gate scoppiato in Basilicata. Nelle prossime settimane ci sarà certamente un nuovo confronto all’interno del partito che appare sempre più disunito nelle sue componenti renziane e anti-segretario, anche in vista dell’importante tornata amministrativa.
Le opposizioni e gli schieramenti del SI
I 5 Stelle che hanno appoggiato e sostenuto le ragioni del SI sono mancati proprio nel momento cruciale, a una settimana dal voto. Sono sembrati più presi, anche legittimamente, dalla scomparsa del loro leader e fondatore Casaleggio che dal continuare con forza a sostenere e schierarsi perché i cittadini andassero a votare. Un atteggiamento che denuncia chiaramente come il movimento non sia ancora pienamente maturo in taluni aspetti di opportunità e di scelta politica. Va bene il momento di smarrimento per la morte di una figura così importante come quella di Casaleggio, non va bene smarrire la forza comunicativa e decisionale in momenti così importanti come un referendum in cui si è creduto anche in prospettiva antigovernativa. E’ indubbio che i “grillini” debbano scegliere una leadership forte, autorevole e in grado di guidare il consenso in ogni circostanza. Sarà Di Maio, sarà Di Battista, si vedrà.
Le Regioni
Il referendum è stato fortemente voluto da 9 Regioni, in prima fila la Puglia del governatore Emiliano, la Basilicata e il Veneto di Zaia. I governatori hanno sempre lamentato nei confronti del governo una mancanza di volontà di stabilire un dialogo costruttivo sul tema delle perforazioni petrolifere. Emiliano a caldo dopo le 23, ha detto che in questi mesi ha cercato un confronto e un dialogo con il presidente del consiglio ma ha fatto più “anticamera che altro”, un trattamento che secondo il governatore della Puglia, il governo non ha invece riservato alle lobby che “entrano agevolmente nei ministeri”. L’esito dle referendum appare in questo senso uno degli aspetti del redde rationem in atto da tempo tra Renzi, il governo e le Regioni che si rimpallano responsabilità e colpe sulla gestione della sanità, sulle infrastrutture, sulle questioni ambientali. Renzi stesso non fa mistero di volere accentrare su Roma e sul governo centrale competenze periferiche. Lo scontro, ci si può scommettere, continuerà.
La questione dell’astensione.
Se da una parte il questo referendario è apparso da subito troppo “ristretto”, per alcuni versi tecnico e di scarso appeal verso gli elettori che forse non hanno compreso a fondo tutte le questioni in gioco, dall’altra parte le dichiarazioni chiare nette del governo, di Renzi a favore dell’astensione non hanno certo aiutato a raggiungere il quorum. Va detto che quando in un paese cariche istituzionali si schierano per il non voto, per quanto possa essere legittima in democrazia tale posizione, si instilla una sorta di “veleno” nel corpo elettorale che sarà inevitabilmente portato a considerare il voto come inutile, incapace di influire sulle scelte del Paese.
In ultimo la questione energetica, a cui pochissimi hanno fatto riferimento durante la campagna referendaria. L’Italia ha bisogno da molti anni di una programmazione energetica forte, continua che non faccia scelte episodiche ma sostanziali. Renzi ha sottolineato, giustamente, che il nostro Paese è in Europa tra i primi nelle rinnovabili, vero. Non ha però detto altrettanto chiaramente come sempre il nostro Paese sia quello più esposto, per una serie di ragioni a cui questo esecutivo non ha messo un argine, nei confronti delle lobby petrolifere, dei grandi gruppi internazionali che speculano sull’andamento dei prezzi del petrolio e per via della grande tassazione che insiste sul comparto energetico.