Expo. Appalti, tangenti e corruzione. Una storia italiana

di redazione 19/12/2016 POLITICA
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Con l’iscrizione di Beppe Sala, attuale sindaco di Milano, nel registro degli indagati per gli appalti cosiddetti Piastra entrano nel vivo le indagini della Procura di Milano per verificare la legalità e la correttezza delle procedure di assegnazione degli appalti per l’Expo milanese. Nei mesi scorsi, all’indomani della candidatura di Sala per il centro sinistra a sindaco del capoluogo lombardo, da più parti si erano sollevati dubbi, proprio perché Sala in qualità di commissario unico di  Expo 2015amministratore delegato di Expo 2015 S.p.A dal 2010 al febbraio 2016, in qualche modo, anche solo come test o come persona informata sui fatti, sarebbe rientrato nelle indagini già in corso. Eppure, o nonostante questo, il Pd e Renzi lo hanno voluto fortemente in corsa per Palazzo Marino.

L’appalto Piastra è stato l’appalto più importante di Expo 2015, la struttura su cui è stata costruita materialmente l’Esposizione Universale. Su cui oggi si indaga. Lì sono già state scoperte aziende indagate per mafia e ‘ndrangheta. Ora i magistrati della Procura Generale chiedono altri sei mesi per indagare, dopo che per quattro anni troppo poco è stato fatto.

Ecco perché con l'iscrizione di Giuseppe Sala per falso materiale e ideologico esplode l'inchiesta sulla Piastra dei servizi di Expo, l'appalto più ricco dell'Esposizione universale che venne assegnato con un ribasso del 42 per cento alla società Mantovani.

Proprio su questa indagine si registrò il cruento scontro nella Procura milanese tra l'allora capo Edmondo Bruti Liberati (ora in pensione) e l'aggiunto Alfredo Robledo, poi trasferito a Torino per i suoi rapporti con l'avvocato della Lega, Domenico Aiello. In seguito ai contrasti sulla gestione di questo fascicolo, nel giugno del 2014, Bruti si autoassegnò tutte le indagini sull'evento costituendo la cosiddetta 'Area omogenea Expo' che, di fatto, estrometteva l'allora capo del pool reati contro la pubblica amministrazione dalle inchieste sulla manifestazione.

Il 20 marzo 2014 arrivano i primi arresti legati all'evento nell'ambito di un'indagine su Infrastrutture lombarde (Ilspa), controllata della Regione Lombardia. Finiscono in carcere il dg Antonio Rognoni e Pierpaolo Perez, responsabile dell'ufficio gare. I pm indagano sui metodi di assegnazione delle consulenze e per la prima volta mettono nel mirino anche i lavori di Expo. L'inchiesta su Ilspa si allarga nei mesi successivi e il 9 maggio finisce a San Vittore Angelo Paris, responsabile acquisti di Expo, assieme all'ex Dc Gianstefano Frigerio, all'ex Pci Primo Greganti e all'ex forzista Luigi Grillo.

Tra il più stretto riserbo durante l'Esposizione, Giuseppe Sala viene indagato per abuso d'ufficio in relazione all'affidamento diretto a Eataly dei servizi di ristorazione in due padiglioni di Expo, con presunti vantaggi per la società di Oscar Farinetti.

Proseguendo nelle vicende giudiziarie legate al più importante evento pubblico nel nostro paese degli ultimi anni, un’inchiesta della Dda guidata da Ilda Boccassini ipotizza che ci fosse la mafia dietro l'elegante padiglione in legno della Francia e gli stand del Qatar, della Guinea Equatoriale, del Camerun e perfino dietro alla passerella che ha portato milioni di visitatori a immergersi nelle attrazioni dell'Esposizione. A luglio 2016, la Guardia di finanza arresta 22 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari con l'aggravante di avere favorito gli interessi di Cosa Nostra, in particolare la famiglia di Pietraperzia in provincia di Enna.

Tornando invece sulle gare per l’assegnazione dell’appalto Piastra nel luglio 2012 se lo aggiudica una cordata di aziende capeggiate dalla Mantovani, il colosso veneto già al centro dell’inchiesta sul Mose di Venezia. Vince con un ribasso record del 42%, offrendo 100 milioni in meno rispetto alla base d’asta di 272 milioni di euro. Un ribasso che fa ovviamente nascere molti sospetti. Si apre allora uno scontro su quel maxi ribasso: da una parte ci sono Beppe Sala e la società Expo, dall’altra Formigoni e l’allora direttore generale di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni. Quest’ultimo, poi arrestato nel 2014 nell’ambito di un’altra inchiesta Expo, avrebbe voluto che i lavori andassero a Impregilo, seconda classificata. A questa occasione risalirebbe il falso ideologico e materiale imputato a Sala. L’ipotesi del sostituto procuratore generale Felice Isnardi è che Sala abbia falsificato un documento, retrodatandolo. Gli investigatori registrano alcune telefonate fino al 30 maggio 2012 in cui emergono perplessità su queste incompatibilità e quindi la necessità di sostituire quei due membri. Il 17 maggio 2012 Sala firma il verbale di nomina dei quattro “commissari supplenti”, in sostituzione dei membri incompatibili. Per i magistrati è l’incongruenza su cui indagare, da cui il falso “ideologico” e “materiale”. Ci sarebbe dunque quel documento retrodatato e una “commissione ombra” per non bloccare l’assegnazione dei lavori della Piastra di Expo. Per questo Beppe Sala rischia di finire a processo.

La Guardia di Finanza scrive: “Pur mostrando una formale diffidenza si ottiene l’effetto di dare definitiva copertura a un’impresa illecitamente favorita”. Ovvero, secondo gli inquirenti il gruppo Mantovani avrebbe sfruttato forze politiche esterne per battere cassa utilizzando il ricatto di “metter in discussione l’intero evento”.

Per Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, le vicnde degli appalti Expo indicano ancora una volta che non esistono contromisure contro la corruzione. Se non quella di togliere la gestione degli appalti agli uomini e alle loro scelte discrezionali, per affidarle ai robot”. E su Sala non entra nel merito dell’inchiesta: “Parliamo di un reato di falso. E da magistrato dico che l’iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto, visto che la Procura generale ha aperto un’inchiesta. Ho sempre dato atto della lealtà e correttezza di Sala nei confronti del nostro lavoro, dal giugno 2014. Sappiamo benissimo che gli appalti sono difficili da gestire”.

Intanto la Corte dei Conti bocciano i rendiconti dell’evento. Nella relazione di 155 pagine dei magistrati contabili si contesta il rendiconto dei progetti, precedente all’arrivo di Sala, presentato al Bie: entrate e uscite firmate da un unico funzionario e mai approvate dal Cda. «Troppe deroghe nei contratti»

La Corte dei conti “dichiara non regolare il rendiconto 2010 presentato da Expo SpA”. I magistrati, in una relazione di 155 pagine depositata a fine ottobre scorso, dopo un contraddittorio con la società, spiegano che il documento che riassume tutte le entrate e le uscite di cassa avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio di amministrazione di Expo (fatto mai avvenuto), e non soltanto dal funzionario incaricato di gestire la contabilità. Dalla relazione della sezione lombarda della Corte emerge però qualcosa di più: e cioè quel clima di urgenza, affanno e ampio ricorso alle deroghe sulla gestione dei contratti e degli appalti che hanno accompagnato l’evento fin dall’origine. Ed è proprio in quella necessità di affrettare i tempi che si sono consumati tutti i reati finora accertati o ipotizzati nella gestione dell’Expo.

Nella relazione della Corte si legge dunque che “l’esame istruttorio non può escludere la presenza di profili del procedimento di spesa idonei a pregiudicarne la dichiarazione di regolarità”, stessa conclusione che viene più volte ripetuta dopo la valutazione su altri contratti.

 

 

 

 

 

 

 


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