Belgrado. Migranti sotto la neve e al gelo come gli Ebrei nella Seconda Guerra mondiale
Nell’Europa del 21esimo secolo capita di assistere a scene che ci riportano alla tragicità della Seconda Guerra Mondiale o della Guerra in Bosnia. Succede, appunto, a Belgrado, dove alcuni fotografi hanno documentato gli stenti di alcune centinaia di profughi in fila al gelo e sotto la neve in attesa di un pasto caldo distribuito in un deposito doganale abbandonato a Belgrado.
Secondo l’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, sono circa 7.000 i profughi in Serbia ma in realtà potrebbero essere di più. Non tutti dormono in strutture ufficiali, molti dormono in edifici abbandonati o persino nei boschi con temperature che in queste notti sfiorano i meno venti gradi. Nell’ultima settimana i casi di ipotermia si sono moltiplicati e oltre una decina di migranti sono morti assiderati
L’arrivo dell’inverno e della neve ha peggiorato le condizioni di vita di centinaia di persone richiedenti asilo rimasti in Serbia e Grecia dopo aver provato a percorrere la cosiddetta “rotta balcanica” fra il 2015 e il 2016. In Grecia sono rimaste circa 62mila persone, dopo che la maggior parte dei paesi balcanici ha deciso di chiudere le frontiere; la rotta è stata formalmente chiusa con l’accordo fra Commissione Europea e Turchia nel marzo 2016. In Serbia, uno dei paesi balcanici più permissivi e accoglienti nei confronti dei migranti, migliaia di persone stanno aspettando di fatto che le frontiere vengano riaperte: almeno duemila di loro vivono in un’area industriale abbandonata a Belgrado, in pessime condizioni igieniche. In questi giorni le condizioni dei migranti in Grecia e Serbia sono state documentate dalle agenzie fotografiche, che hanno visitato accampamenti e centri provvisori in entrambi i paesi.
A novembre l’UNHCR aveva stimato che in Serbia ci fossero ancora 6.000 migranti. Il governo serbo ha detto che nell’ultima settimana ha convinto circa 400 persone ad abbandonare i campi informali per trasferirsi in quelli ufficiali, ma nemmeno lì le condizioni sembrano essere adeguate: Lydia Gall, una ricercatrice della ONG Human Rights Watch, a inizio gennaio ha detto ad al Jazeera che nei campi governativi non venivano forniti «oggetti essenziali» come giacche per ripararsi dal freddo.
Fino a pochi giorni fa la situazione era piuttosto grave in alcuni ex capannoni industriali e depositi ferroviari di Belgrado, dove sono sorti degli accampamenti informali in cui le autorità serbe si limitano a prestare limitata assistenza. In uno di questi accampamenti nella notte le temperature sono scese fino a -15°C.
Le foto circolate sul web sono del tutto simili, nella loro immediata durezza e tragicità, con quelle delle centinaia di ebrei che durante l’ultimo conflitto mondiale venivano spesso costretti dai soldati tedeschi sotto la neve a estenuanti passaggi o file per essere imbarcati su qualche convoglio ferroviario.