Ambiente. Da Bruxelles doppia procedura d'infrazione all'Italia per smog, acque reflue e rifiuti
Dalla Commissione europea è in arrivo un nuovo richiamo all'Italia in materia di rispetto dell'ambiente. La Commissione europea intende portare avanti - con l'invio a Roma di un parere motivato - la procedura d'infrazione aperta nel maggio del 2015 per il superamento dei limiti previsti dalla direttiva 2008/50 in materia di emissioni di biossido di azoto (NO2), in pratica l'inquinamento legato ai gas di scarico dei motori diesel.
L'infrazione, secondo le informazioni raccolte, riguarda 15 agglomerati urbani distribuiti in sette regioni: Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Toscana e Sicilia. I servizi della Commissione attribuiscono a questa infrazione carattere prioritario rispetto a quella pure in corso sulle PM10 poiché in quest'ultimo caso - che riguarda l'Italia ma anche diversi altri Paesi - Bruxelles riconosce il ruolo svolto dal fattore orografico e climatico (come nel caso della Pianura Padana) nel mancato rispetto delle norme Ue. Una circostanza che Bruxelles non ritiene invece sussista nel caso delle emissioni di biossido di azoto.
Ma non c’è solo lo smog sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles. Prima questione il ciclo dei rifiuti.
Oltre alla Campania e alle discariche abusive, dal 2011 l’Italia è sotto procedura di infrazione anche per le discariche che avrebbero dovuto essere chiuse entro il 16 luglio 2009 e dal 2015 per i ritardi nell’adozione dei piani regionali di gestione dei rifiuti. A queste si è aggiunta, nel 2009, l’infrazione per la mancata valutazione di impatto ambientale sulla messa in sicurezza di una parte dell’ex Acna di Cengio.
Acque reflue. Sono tre le procedure aperte, la più avanzata delle quali è quella sui centri urbani con più di 15.000 abitanti. Le altre riguardano, rispettivamente, agglomerati da oltre 10.000 abitanti che riversano le acque reflue in aree sensibili dal punto di vista della protezione ambientale, e centri con più di 2.000 abitanti.
Tutela della Natura. L’Italia deve completare la designazione delle Zone Speciali di Conservazione previste dalla Direttiva Habitat.
A causa di decenni di incuria e di malgoverno soprattutto locale, ci sono circa 900 agglomerati urbani italiani che non rispettano le normative europee in materia di depurazione delle acque e di impianti fognari.
Una situazione che ha portato l’Italia ad essere interessata da tre procedure d’infrazione della Ue, per due delle quali la Corte di giustizia ha già formulato un primo pronunciamento di condanna.
Il quadro complessivo della situazione è il seguente: per la prima procedura d’infrazione, la numero 2004/2034, la Corte di giustizia il 19 luglio del 2012 ha già emesso una sentenza di condanna. La procedura, che interessa bacini di utenza che superano i 15 mila abitanti, quando è stata avviata, riguardava 109 agglomerati urbani. Ad oggi, stando alle informazioni del ministero dell’Ambiente, gli agglomerati ancora non in regola dovrebbero essere circa 80. Di questi agglomerati 10 dovevano essere messi a norma entro il 2016; 58 tra il 2017 e il 2019 e 12 tra il 2020 e il 2022. Nell’ultimo conteggio del 2015 le regioni interessate erano: Abruzzo (1 agglomerato), Calabria (13), Campania (7), F. V. Giulia (2), Liguria (3), Puglia (4), Sicilia (51 agglomerati). Per questa procedura, l’8 dicembre scorso, la Commissione ha chiesto di comminare all’Italia una sanzione forfettaria di circa 63 milioni di euro, oltre a una sanzione giornaliera di 350mila euro.
La seconda procedura di infrazione, la numero 2009/2034, è riferita a bacini che superano i 10 mila abitanti. Quando è stata avviata riguardava 34 agglomerati. Ad oggi, stando alle ultime informazioni del ministero dell’Ambiente, 25 dovrebbero essere già stati messi in regola entro il 2016 e nove dovrebbero essere a norma tra il 2017 e il 2019. Le regioni interessate sono: Abruzzo (1 agglomerato), Lazio (1), Lombardia (14), F. V. Giulia (5), Marche (2), Puglia (2), Sicilia (5), Sardegna (1), Valle d’Aosta (1), Veneto (1), Piemonte (1). La terza procedura di infrazione, la numero 2014/2059, è riferita a bacini che superano i duemila abitanti. Quando è stata avviata riguardava 817 agglomerati. Ad oggi, stando alle ultime informazioni del ministero dell’Ambiente, circa 120 dovrebbero essere stati messi in regola. All’epoca erano interessate tutte le regioni italiane eccetto il Molise. In particolare: Provincia autonoma di Bolzano (1 agglomerato), Provincia autonoma di Trento (2), Valle d’Aosta (2), Piemonte (2), Lazio (6), Umbria (9), Emilia-Romagna (9), Liguria (7), F. V. Giulia (8), Abruzzo (22), Veneto (30 agglomerati), Basilicata (40), Toscana (41), Puglia (27), Marche (46), Sardegna (55), Campania (108), Lombardia (99), Calabria (128), Sicilia (175).
Per effettuare gli interventi di messa a norma degli agglomerati, il Cipe, con la delibera numero 60 del 30 aprile 2012, ha assegnato alle Regioni Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna un miliardo e 776 milioni di euro per la realizzazione di 183 interventi. A tal fine, sono stati sottoscritti una serie di Accordi di programma quadro tra i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico e le Regioni interessate. Altri Accordi di programma quadro, a seguito di ulteriori finanziamenti previsti dalla legge di Stabilità 2014, sono stati sottoscritti tra ottobre e novembre del 2014. Inoltre, per accelerare la realizzazione degli interventi è stata attivata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’ambiente, la procedura di commissariamento prevista dall’articolo 7 della legge Sblocca Italia.