PD. Scissione nei fatti. La Direzione senza Renzi e bersaniani. Emiliano resta e sfida il segretario

di redazione 20/02/2017 POLITICA
img

La scissione è ormai nei fatti. Si consuma senza neppure un tentativo estremo di ricomposizione la rottura dentro il Pd: i bersaniani non partecipano alla direzione e annunciano con Roberto Speranza di essere al lavoro "per un nuovo soggetto di centrosinistra", Matteo Renzi vola in California, convinto che "peggio delle scissioni ci sono i ricatti". Chi, invece, dopo varie titubanze, decide di restare nel Pd e di sfidare al congresso il leader dimissionario è Michele Emiliano che prende un'altra strada rispetto alla minoranza "perchè il Pd è casa mia e nessuno può cacciarmi".

Una casa che il fondatore Romano Prodi guarda ormai da lontano assistendo a quello che definisce "un suicidio politico". Da oggi il Pd cambierà volto (con un ex segretario e storico protagonista della sinistra di governo come Pierluigi Bersani che annuncia che non rinnoverà la tessera Pd) anche se i numeri degli addii saranno inferiori a quelli che sembravano domenica scorsa. I bersaniani già giovedì formeranno gruppi autonomi sia alla Camera sia al Senato non capendo la scelta di Emiliano di "candidarsi nel Pdr", il partito di Renzi. Con l'invito, di D'Alema a Pisapia a "lavorare insieme".

La decisione tormentata del governatore pugliese matura tra lunedì notte e martedì dopo una serie no-stop di telefonate frenetiche e di riunioni. In direzione Emiliano arriva senza più credere che gli ultimi tentativi di mediazione vadano in porto. Addolorato per la rottura con Roberto Speranza ed Enrico Rossi, "persone perbene, di grande spessore umano che sono state offese e bastonate dal cocciuto rifiuto ad ogni mediazione". Perchè, rimanda la palla nel campo avverso, "Renzi è il più soddisfatto per ogni possibile scissione".

Ma siccome "chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso", il governatore pugliese decide di "dare battaglia come il Che" al fortino renziano. Una scelta che però gli attira le dure critiche di Bersani e D'Alema ("farà i conti con la sua coerenza") e Enrico Rossi ("ognuno ha il suo modo di comportarsi") con l'ex segretario che in serata a DiMartedì non risparmia un attacco neppure a Renzi confessando: "con lui ho capito dal primo giorno che non mi sarei mai preso" accusandolo poi di aver deciso le dimissioni "per salvare se stesso mettendo a rischio la Ditta". Una Ditta che Bersani vede di nuovo in campo con l'iniziativa degli scissionisti e che, assieme a D'Alema, lo vedranno lottare per ricostruire una 'cosa rossa'. Ma la cui leadership, dice l'ex premier a Cartabianca, "non può essere nè di D'Alema nè di Bersani. Noi ci saremo", ma "in questo momento i leader naturali sono Enrico Rossi e Roberto Speranza".

"E che bisogna andare a farci?", intendendo alla direzione, ha detto il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se avesse intenzione di andare alla direzione del Pd in programma a Roma. "Io ci sono già stato" in direzione, "e ho parlato, e poi abbiamo fatto anche una manifestazione". Rossi ha spiegato che domani sarà comunque a Roma per un incontro, per fare il punto sull'accordo di programma per le acciaierie di Piombino.

Parole simili da Roberto Speranza: "Per me - dice - non ci sono le condizioni per stare nel congresso, e non credo andrò alla prossima direzione del Pd dopo quello che è accaduto ieri. Ci aspettavamo che nelle repliche di Renzi ci fosse un messaggio di riapertura della discussione. Non è avvenuto. Lui ha fatti una scelta molto chiara, che va nella direzione di rompere il Pd".

Letta, 'Non può finire così' - "Guardo attonito al cupio dissolvi del Pd. Mi dico che non può finire così. Non deve finire così". Lo scrive su Facebook Enrico Letta a proposito della scissione del Pd. "Oggi non ho altro che la mia voce - scrive ancora l'ex premier - e non posso fare altro che usarla così, per invocare generosità e ragionevolezza. No, non può finire così". "Mi viene spontaneo pensare che per i casi del calendario proprio 3 anni fa ero preso da sgomento lasciando Palazzo Chigi dall'oggi al domani e cominciando una nuova vita, fuori dal Parlamento e dalla politica attiva. Quello era uno sgomento solitario. Oggi sento la stessa angoscia collettiva di tanti che si sentono traditi e sperano che non sia vero. Tanti che chiedono di guardare all'interesse del paese e mettere da parte le logiche di potere. Mai avrei pensato 3 anni dopo che si potesse compiere una simile parabola".

Intanto Orlando non esclude una propria candidatura al congresso. Anzi. "Qualunque problema abbia il partito - sottolinea ad Agorà - l'idea che lo si possa risolvere con la scissione è sbagliata: apre un fronte che consente alla destra di rafforzarsi". Quanto alla sua candidatura alla segreteria del partito, Orlando risponde così: "Non mi pare serva mettere altri candidati alla segreteria in lizza. Se la mia candidatura impedisse la scissione, sarei già candidato. Non ho capito quale sia il problema in questo passaggio...". Intanto, a quanto si apprende, una riunione, ieri sera, tra lo stesso Orlando, Gianni Cuperlo e Cesare Damiano ha sancito la nascita di una nuova area dentro il Pd alla luce della quasi certa scissione con la minoranza. I tre esponenti ex ds, che ieri in assemblea hanno caratterizzato i loro interventi all'insegna dell'unità del partito e dell'equidistanza, si sono trovati d'accordo, nella riunione, sulla necessità di un'area larga che avanzi una proposta politica nuova per rifondare il Pd.

 

 


Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali