Dopo Voto. Si dimettono due capi staff del governo May. Strada in salita per la leader dei Conservatori
Dopo voto
Nick Timothy e Fiona Hill, potentissimi capi dello staff di Downing Street e i più stretti consiglieri di Theresa May, si dimettono, esprimendo 'profonda delusione' per il risultato delle elezioni e assumendosene almeno in parte la responsabilità. Già stamattina tutti i giornali scrivevano che il partito conservatore chiedeva alla premier la loro testa, come prezzo per il fallimento alle urne, che ha visto i Tories rimanere primo partito, ma senza maggioranza assoluta e perdendo seggi rispetto alla legislatura precedente, costretti a una controversa alleanza con i protestanti nord-irlandesi del Dup, un gruppo omofobo e antiabortista, per formare un governo. Non è ancora chiaro se la decisione di dimettersi sia stata presa da entrambi autonomamente o dietro pressioni del primo ministro. Ma ha già scatenato reazioni di diverso genere, da chi la giudica un primo passo necessario a chi ricorda che la responsabilità suprema è al vertice per cui sarebbe Theresa May a doversi dimettere.
I due consiglieri erano con lei da anni, nel suo staff quando era ministro degli Interni e poi l'estate scorsa l'hanno seguita a Downing Street. Avevano un potere così grande e una tale influenza sulla premier che Timothy veniva chiamato 'Rasputin', non solo per la barba simile a quella del celebre monaco alla corte dell'ultimo zar di Russia. Secondo le indiscrezioni pubblicate oggi dai giornali, l'atmosfera delle riunioni di gabinetto con loro era 'tossica'. Qualche fonte ministeriale li definisce 'due mostri'. Altri raccontano di email brusche e perfino offensive che i due 'chief of staff' inviavano a ministri e alti responsabili. In concreto, inoltre, vengono loro imputate alcune delle misure del manifesto elettorale dei Tories, come il taglio ai benefici assistenziali agli anziani, che con il senno di poi avrebbero contribuito a provocare il deludente risultato alle urne di giovedì. Sono anche considerati gli artefici della 'hard Brexit', cioè della Brexit dura, totale, radicale, apparentemente scelta finora da May.
"Due capri espiatori", commenta Matthe D'Ancona, un columnist del Guardian vicino ai conservatori, sostenendo che la colpa della risicata vittoria elettorale è della premier. "È patetico vedere che Theresa May scarica la responsabilità sui suoi consiglieri, la leader è lei, lei ha preso le decisioni, è lei che deve dimettersi", twitta Owen Jones, un commentatore progressista dello stesso quotidiano. "Rasputin se n'è andato, grazie a Dio" è il messaggio che arriva da un anonimo deputato dei Tories. Mentre un altro parlamentare conservatore, Nigel Evans, afferma: "Finalmente una buona notizia, questo deve essere l'inizio di uno stile di governo più inclusivo".
La domanda che circola su tutti i media e in tutti gli ambienti politici è quanto potrà durare, a questo punto, Theresa May. E la risposta più frequente è: non molto. Un sondaggio pubblicato dal Daily Telegraph rivela che due terzi degli iscritti al partito conservatore vorrebbero che la premier desse le dimissioni. Sui media ci sono già le liste di chi potrebbe prendere il suo posto: il ministro degli Esteri Boris Johnson, quello della Difesa Michael Fallon, quella degli Interni Amber Rudd, quello della Brexit David Davis.