Giulio Regeni ucciso dai servizi segreti egiziani. Le prove al nostro governo dall'intelligence statunitense
Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso da ufficiali della sicurezza egiziana. Una certezza che gli Usa hanno acquisito dall'intelligence nelle settimane successive al ritrovamento del corpo martoriato del ricercatore italiano al Cairo. Quello che Carlo Bonini e Giuliano Foschini sulle pagine di Repubblica scrivevano più di un anno fa, ora è messo nero su bianco anche in un lungo articolo del New York Times Magazine a firma di Declan Walsh. Il giornalista, che dal Cairo ha seguito tutte le fasi dell'inchiesta sull'omicidio, ha avuto conferma di questo da tre fonti dall'amministrazione Obama: dunque Washington aveva ottenuto "prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana", "non c'era alcun dubbio".
Da Palazzo Chigi però, su questo particolare decisivo, arriva una smentita. Fonti della presidenza del Consiglio sottolineano "nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all'omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l'altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno 'prove esplosive'". Come dire, insomma, che un conto sono l'individuazione dei contesti e le convinzioni, altra cosa sono le prove. Le stesse fonti rimarcano infine come "la collaborazione con la Procura di Roma in tutti questi mesi" sia stata "piena e completa".
L'articolo arriva mentre nel nostro Paese è altissima la polemica per la decisione del governo italiano di far tornare al Cairo l'ambasciatore Giampaolo Cantini alla luce dei nuovi documenti che la procura egiziana ha trasmesso ieri a quella di Roma, relativi ad un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte di Regeni. Interrogatori che erano stati sollecitati proprio dalla procura della repubblica di Roma. Ma se la consegna viene considerata "un passo avanti nella collaborazione" tra le due procure, come viene sottolineato in una nota congiunta firmata da Giuseppe Pignatone e Nabil Ahmed Sadek, i genitori del ricercatore non sono dello stesso avviso.
"Sempre più lutto!", scrive la mamma di Giulio Regeni, Paola Deffendi, in un post sul proprio profilo Facebook nel quale pubblica le foto della bandiera italiana listata a lutto esposta dal giorno della morte del giovane sul Municipio di Fiumicello, in provincia di Udine, dove vive la famiglia Regeni.
Secondo il giornalista americano, le informazioni sulle responsabilità di "alti papaveri" egiziani nella morte di Giulio Regeni vennero passate al governo Renzi "su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca". Ma "per evitare di svelare l'identità della fonte non furono passate le prove così come erano, né fu detto quale degli apparati di sicurezza egiziani si riteneva fosse dietro l'omicidio".
Altre fonti sempre citate dal New York Times affermano: "Non è chiaro chi avesse dato l'ordine di rapire e, presumibilmente, quello di uccidere" Regeni, ma "quello che gli americani sapevano per certo, e fu detto agli italiani, è che la leadership egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell'uccisione" del ricercatore. Di più: "Non abbiamo dubbi di sorta sul fatto che questo fosse conosciuto anche dai massimi livelli". Insomma, non sapevamo se fosse loro la responsabilità, ma sapevano, sapevano".
Questo portò alcune settimane dopo "l'allora segretario di Stato, John Kerry, a un aspro confronto con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, nel corso di un incontro che si tenne a Washington". Si trattò di una conversazione "quantomai burrascosa" anche se da parte della delegazione americana non si riuscì a capire se il ministro stesse erigendo un muro di gomma o semplicemente non conoscesse la verità", Un approccio brutale, quello di Kerry, "che provocò più di un'alzata di sopracciglio" all'interno della Amministrazione, dal momento che Kerry "aveva la fama di trattare l'Egitto con i guanti bianchi".
Nel frattempo i sette magistrati italiani inviati al Cairo "venivano depistati ad ogni piè sospinto" e lo steso ambasciatore italiano Massari "presto smise di usare le email e il telefono per le comunicazioni delicate, ricorrendo ad una vecchia macchina che scriveva su carta sulla base di un codice criptato". Anche perché "si temeva che gli egiziani impiegati presso la sede diplomatica italiana passassero informazioni alle agenzie di sicurezza egiziane".
L'inchiesta affronta anche altre questioni spinose: il Times parla apertamente di "fratture" all'interno dello Stato italiano. "C'erano altre priorità. I servizi di intelligence italiani avevano bisogno dell'aiuto dell'Egitto nel contrastare lo Stato islamico, gestire il conflitto in Libia e monitorare il flusso di migranti nel Mediterraneo", scrive Walsh.
Poi il NYT affronta le tensioni tra gli apparati dello Stato italiano per la collaborazione tra l'Eni e i servizi di intelligence sul caso del ricercatore ucciso. L'Eni solo poche settimane dell'arrivo al Cairo di Regeni aveva annunciato una grande scoperta: il giacimento di gas naturale di Zohr, 120 miglia a nord della costa egiziana, contenente 850 miliardi di metri cubi di gas, dice il giornalista ricordando il fabbisogno energetico italiano e l'importanza per il nostro Paese - ricordata anche da Renzi - della stessa Eni.