Viadotto Morandi. Lavori rinviati, manutenzione assente, responsabilità imprecise. Autostrade, governo, regione alla ricerca della verità sul crollo che è costato la vita a 43 persone
Gli avvertimenti ad Autostrade sulle criticità di ponte Morandi, il viadotto sul Polcevera crollato lo scorso 14 agosto trascinando tra le macerie 43 persone, erano stati più di uno.
Già nel 2015 Cesi, tra gli studi più noti che si occupano di verifiche strutturali, aveva avvisato la società della necessità di un “monitoraggio dinamico, ossia continuo”. Su allunga quindi l’elenco degli enti – inclusi il Politecnico di Milano – avevano lanciato l’allarme sulla sicurezza del ponte.
A fine del 2017, tra i documenti inviati da Autostrade alla Commissione tecnica del Provveditorato della Liguria chiamata a esprimersi sui lavori di rinforzo dei tiranti del viadotto, la società non inserì la relazione del 1981 di Riccardo Morandi in cui il progettista segnalava criticità alla struttura.
A rivelarlo è La Repubblica Genova. Ad accorgersi della mancanza sarebbe stato il Comitato tecnico i cui membri sono stati sentiti dalla procura. Come scrive il quotidiano, Morandi tra le altre cose metteva in guardia sulla «degradazione della struttura in cemento armato molto rapida in alcune parti [...] molto più di quanto ci si potesse aspettare». I membri della commissione - il provveditore Roberto Ferrazza, gli ingegneri Giuseppe Sisca e Salvatore Buonaccorso, Antonio Brencich, professore associato alla facoltà di Ingegneria a Genova, e Mario Servetto - diedero parere positivo non senza sottolineare alcune criticità. Il Comitato però, come ricostruisce Repubblica, chiese ad Autostrade di approfondire gli studi, ma la società non avrebbe mai risposto.
Tra il 6 febbraio e il 13 aprile 2018, Autostrade scrisse almeno cinque lettere al ministero delle Infrastrutture. Nella seconda missiva pubblicata dall'Espresso e firmata dal direttore della manutenzione Michele Donferri Mitelli si legge: «Vista l'importanza strategica dell'opera e la natura dell'intervento, tenuto conto che il completamento delle procedure di affidamento può essere stimato in 13-15 mesi, si ritiene, in considerazione del protrarsi dei tempi di approvazione, che l'intervento non possa essere in esecuzione prima del secondo semestre 2019 o inizio 2020. Tale circostanza comporterebbe una serie di ripercussioni sia per la pianificazione economica che per l'incremento di sicurezza necessario sul viadotto Polcevera. Per quanto sopra, Vi preghiamo di portare avanti l'iter autorizzativo quanto prima». Da parte sua Autostrade, dopo la pubblicazione del documento, ha diffuso una nota in cui sostiene che la lettera sia «una ordinaria comunicazione con cui la competente direzione del ministero delle Infrastrutture viene sollecitata per l'approvazione del progetto di miglioramento delle caratteristiche strutturali del viadotto Polcevera». Risulta, quindi, assolutamente fuorviante e non veritiera l'interpretazione del settimanale secondo cui si sarebbe trattato di una "lettera d'allarme" che metteva in guardia sulla "non sicurezza" del viadotto».
Il primo febbraio 2018 nel corso di una riunione il Provveditorato opere pubbliche diede il suo parere poistivo al progetto di ristrutturazione del viadotto sul Polcevera presentato da Autostrade. Dal verbale, pubblicato sempre da L'Espresso, emerge come sia concessionario sia concedente fossero ancora una volta al corrente del degrado della struttura. Nella presentazione del progetto si legge al capitolo Descrizione difetti: «I risultati delle prove riflettometriche hanno evidenziato un lento trend di degrado dei cavi costituenti gli stralli (riduzione d'area totale dei cavi dal 10 al 20%) e proprio in tale considerazione la committente ha ritenuto opportuno avviare una progettazione finalizzata al rinforzo della costruzione delle pile 9 (quella crollata, ndr) e 10». E, ancora: «Le indagini sono state estese agli altri elementi strutturali che hanno evidenziato i quadri fessurativi (lesioni) più o meno estesi, presenza di umidità, fenomeni di distacchi, dilavamenti, ossidazione.
Sulla base delle indagini svolte la società progettista ha cautelativamente stimato un grado di ammaloramento medio oscillante dal 10 al 20%». Nonostante le conclusioni e le critiche, da febbraio ad agosto né il ministero né Autostrade hanno provveduto a mettere in atto misure per alleggerire il traffico pesante e ridurre così la pressione sulla costruzione. Non lo fecero nemmeno i firmatari del verbale Ferrazza e Brencich - quest'ultimo critico dal 2016 sulle condizioni del Ponte - tanto che la loro nomina nella commissione d'inchiesta da parte di Toninelli dopo la tragedia ha sollevato un vespaio di polemiche. Più tardi sono entrambi usciti di scena: Brencich dando le dimissioni, Ferrazza con la revoca dell'incarico.
Quanto si è dovuto attendere per l'avvio dei lavori? A ricostruire l'iter del progetto un decreto del Mit a firma di Vincenzo Cinelli, Direttore generale per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali, pubblicato dal Corriere. Il documento, con cui il ministero dà l'approvazione al progetto di rinforzo degli stralli, è datato 11 giugno 2018, due mesi prima della tragedia. Il progetto era stato trasmesso dal concessionario il 31 ottobre 2017. Facendo due conti: dall'ok del comitato tecnico del Provveditorato del primo febbraio sono passati, tra analisi e passaggi burocratici, almeno quattro mesi.
Il primo settembre è spuntato anche uno studio del Politecnico di Milanosui piloni 9 e 10 del viadotto. A commissionarlo, a ottobre 2017, la società Spea per conto di Autostrade. Il tutto è stato acquisito dalla Guardia di Finanza. Come ha raccontato il Corriere, a fine novembre i professori Carmelo Gentile e Antonello Ruccolo consegnarono i risultati dai quali emergevano «deformazioni non conformi alle attese degli stralli», allegando un progetto per il monitoraggio della struttura. Il costo per l’acquisto e l’installazione del sistema si aggirava tra i 150 e i 200 mila euro, la gestione e l'analisi dei dati tra i 450 e i 600 mila. Il sistema se fosse stato installato, ha spiegato Gentile al quotidiano, «avrebbe forse consentito di risparmiare qualche vita». Come avrebbe funzionato il sistema? «In presenza di spostamenti della struttura, le informazioni dei sensori sarebbero confluite in un centro di ricerca che elaborava i dati in tempo reale e, se del caso, sarebbe scattato l’allarme. Cioè i responsabili della sicurezza avrebbero avuto un dato oggettivo per prendere eventuali provvedimenti di limitazione del traffico». Autostrade però rinunciò al progetto, scegliendone un altro.
Infine gli investigatori hanno risolto il giallo dei video delle telecamere di Autostrade che per un black out non hanno ripreso il momento esatto della tragedia. Non c’è stata alcuna manomissione, come ventilato in un primissimo momento. La mattina del 14 agosto, la centralina elettrica che alimentava le due telecamereaveva avuto problemi più volte. Il salvavita si era staccato per cali di tensione ma era poi ripartito. Intorno alle 11.30, pochi minuti prima del collasso della struttura, una ‘nuvola’ di pioggia si è abbattuta anche sulla centralina e il carico di acqua è stato talmente elevato che la centralina non è riuscita a partire. La seconda telecamera, che stava riprendendo lo svincolo, si è girata verso il ponte solo quando il tecnico addetto alle telecamere ha visto auto che frenavano e mezzi che invertivano la marcia tornando indietro contromano. Quando però il dispositivo ha puntato la struttura, il collasso era già avvenuto. Gli esperti hanno escluso anche l’ipotesi del fulmine che avrebbe colpito uno degli stralli del ponte, provocandone la rottura: i tecnici di Arpal hanno concluso la mappatura delle saette cadute qual giorno e hanno rilevato che quella più vicina si è abbattuta a una distanza di oltre un chilometro.