Sea Watch. Migranti redistribuiti in vari Paesi europei. UNCHR "In Libia i migranti detenuti in veri e propri lager"

di redazione 30/01/2019 ESTERI
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Il via libera non è ancora arrivato ma dovrebbe essere questione di ore. Dopo l'annuncio dell'accordo raggiunto ieri per la redistribuzione in Europa dei 47 migranti a bordo della Sea Watch,  il vertice notturno a Palazzo Chigi tra il premier Conte, Salvini e Di Maio è servito ad ottenere l'ok del ministro dell'interno. Che adesso, per autorizzarelo sbarco, attende la formalizzazione dell'accordo europeo. Ci sarebbe anche il Lussemburgo nel patto, oltre a Germania, Francia, Portogallo, Romania e Malta.

Ma se la definizione dell'accordo dovesse allungare i tempi, tornerebbe l'urgenza di far sbarcare immediatamente i 15 minorenni a bordo come sollecitato per la seconda volta dalla Procura di Catania in ottemperanza della legge Zampa che stabilisce che i migranti minori non possano in ogni caso essere respinti. Ma nessuno, a cinque giorni dall'ingresso in rada della nave, ha ancora provveduto all'identificazione dei minorenni rendendo quindi ineseguibile  il provvedimento del tribunale dei minori che non puo' che essere nominativo. A bordo della nave, battente bandiera olandese ormai da 12 giorni in mare e da 5 nella rada di Siracusa, non è ancora mai salito personale della Capitaneria di porto né della polizia giudiziaria per gli adempimenti e una nuova sollecitazione in tal senso è stata fatta al prefetto di Siracusa. Anche il pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ieri non ha ordinato lo sbarco ma solo raccomandato di garantire la massima assistenza ai migranti, ha espressamente previsto la tutela legale dei minori a bordo.

ALLAREM UNCHR

L'85 per cento di chi parte dalla Libia viene intercettato dalla Guardia costiera e riportato indietro. Rinchiuso nelle carceri in condizioni disumane, spesso senza acqua né cibo per giorni, a rischio di epidemia. È così da quando l'Italia ha chiuso i suoi porti. Più di quindicimila persone che, dopo mesi di detenzione, finiscono con l'essere rimesse in mano ai loro aguzzini e naturalmente ritentano la traversata pagando di nuovo i trafficanti e alimentando all'infinito un business che adesso, per reclutare nuovi clienti nei paesi d'origine, si nutre anche di "offerte speciali" per chi, naturalmente, non ha immediata disponibilità del denaro richiesto.

"Parti ora e paghi dopo", "Viaggia ora gratis e lavori quando arrivi in Libia", "Porta tre amici paganti e viaggi gratis", "Riunisci cinque persone, viaggio gratis per tutti e lavoro all'arrivo". Non è vero che con i porti chiusi e con la stretta sulle Ong si parte di meno dalle coste africane e, soprattutto, non è vero che si muore di meno. Né a mare né a terra, che sia nel deserto e all'interno dei centri di detenzione libici (dove nessuno sa quante persone perdono la vita ogni giorno), o che sia sulle strade di montagna che hanno visto una grande ripresa dei flussi migratori. Sei morti al giorni nel mar Mediterraneo, un numero che, seppure diminuito in termini assoluti (2.275 contro i 3.139 del 2017) è più che raddoppiato in termini percentuale con una vittima ogni 14 persone che partono e la conferma della rotta dalla Libia all'Europa come la più pericolosa in assoluto. E con 136 migranti (quasi il doppio dell'anno scorso) morti sulle rotte terrestri, sul fiume Evros tra Turchia e Grecia, alla frontiera tra Croazia e Slovenia, sui sentieri delle Alpi tra Italia e Francia. 

Un dato su tutti: oltre un milione di migranti arrivato in Europa nel 2015, appena 139.000 nel 2018, la metà dei quali arrivati in Spagna diventato il primo paese di approdo con oltre 65mila persone a fronte dei 23.400 sbarcati in Italia e dei 50.500 in Grecia. 

Chi è stato intercettato e riportato nell'inferno libico ci riproverà affidandosi ai trafficanti perché "meglio rischiare la morte che rimanere in Libia". Per questo l'Unhcr chiede con forza un intervento sul governo libico perché le persone soccorse non vengano sottoposte ad una detenzione immotivata e perché vengano incrementati i corridoi umanitari per portare in Europa, per vie legali, i rifugiati in condizioni di vulnerabilità: 2.404 le persone evacuate dalla Libia, sei volte di più che nel 2017 ma ancora troppo poche. 


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