Omicidio Cucchi. Il nome di Stefano fu cancellato dal registro del fotosegnalamento. Altro ufficiale dei carabinieri indagato

di redazione Roma 15/02/2019 ROMA
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Il nome di Stefano Cucchi fu 'sbianchettato' dal registro del fotosegnalamento conservato nella caserma dei carabinieri dove il giovane fu portato dopo il suo arresto per droga nell'ottobre 2009 e fu sostituito con il nome di un altro arrestato. Così il maggiore Pantaleone Grimaldi, sentito giovedi 14 febbraio davanti alla Corte d'assise, nel processo che, per la morte di Cucchi, vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale.

Il maggiore ha confermato così la circostanza già fatta emergere da altri testimoni nel corso del processo. "Nel novembre 2015 - ha detto Grimaldi - mi contattò il Comandante del Reparto operativo, colonnello Lorenzo Sabatino, dicendomi di rimanere in ufficio perché sarebbe arrivato il capitano Testarmata per acquisire documenti sulla vicenda Cucchi". La richiesta fu quella di visionare una serie di atti contenuti nel fascicolo che era chiuso a chiave in un armadio.

Il pm Giovanni Musarò lo ha interrogato come indagato mercoledì pomeriggio, contestandogli il reato di favoreggiamento per l’attività di occultamento e manipolazione delle prove condotta nel novembre 2015 dal Reparto Operativo dell’Arma di Roma, di cui era allora comandante, che avrebbe dovuto far deragliare anche l’inchiesta bis dalla Procura sull’omicidio (quella per cui si sta celebrando il processo ai tre carabinieri responsabili del pestaggio di Stefano).

Intanto dal fronte delle indagini Repubblica riporta di un nuovo indagato, si tratta del colonnello dei carabinieri Lorenzo Sabatino. 

Al colonnello Sabatino, che in quel novembre del 2015 aveva ricevuto l’incarico di raccogliere e trasmettere alla Procura tutti gli atti interni all’Arma su Cucchi, il pm Musarò contesta infatti di non aver segnalato come in questo scartafaccio di carte che trasmise al suo ufficio fossero state “manomesse” due delle evidenze chiave in grado di ricostruire cosa fosse accaduto la notte del 16 ottobre 2009, quella dell’arresto e del pestaggio di Stefano. Si trattava delle relazioni di servizio dei carabinieri Colicchio e Di Sano, due piantoni di guardia nella caserma di Tor Sapienza, quella dove Stefano trascorse la notte dell’arresto. A entrambi – come l’indagine della Procura ha recentemente documentato – venne imposto dalla catena gerarchica dell’Arma di correggere quanto avevano inizialmente annotato per iscritto nelle loro relazioni in modo tale che scomparisse ogni riferimento alle tracce, già in quella notte dell’ottobre 2009 evidenti, del pestaggio appena subito da Stefano dai carabinieri che lo avevano arrestato. E vennero dunque confezionati due falsi. Due nuove “annotazioni di servizio” che di quelle originali avevano la medesima veste grafica e lunghezza, riportavano la stessa data, ma erano appunto purgate nei contenuti.

Ebbene, Sabatino, sulla carta un fine investigatore, almeno se si sta al suo curriculum (Comando del Nucleo Investigativo e del Nucleo operativo dei carabinieri di Roma, Comando di una delle sezioni del Ros, reparto di eccellenza dell’Arma, e quindi il comando a Messina), non notò quella discrepanza. Piuttosto, affastellò originali e falsi di quelle annotazioni in un unico malloppo di carte dove solo l’ostinazione del pm Musarò riuscì a scovarli, a notarne la “diversità”, e dunque a farli “parlare”. Né le omissioni dell’indagine di Sabatino si fermarono qui. A quella che, al momento, è per altro la sola contestazione formale che gli è mossa da Musarò . Per ordine dello stesso colonnello Sabatino, infatti, il capitano Testarmata (all’epoca in forza al Nucleo Investigativo e anche lui indagato per favoreggiamento), tra le carte da consegnare alla Procura, non acquisì in originale il registro “sbianchettato” del fotosegnalamento di Stefano la notte dell’arresto nella caserma Casilina (fu prodotta soltanto una fotocopia da cui il bianchetto non appariva). Né tantomeno raccolse lo scambio di mail con cui erano documentate le pressioni e le indicazioni dell’allora comandante del Gruppo Carabinieri (il colonnello Alessandro Casarsa) perché appunto le relazioni dei due piantoni della caserma di Torsapienza fossero manipolate.

Il colonnello Sabatino, per quanto è stato possibile ricostruire, si è difeso durante l’interrogatorio scegliendo di indossare i panni dello sprovveduto. Ha provato infatti a scaricare la responsabilità della mancata segnalazione alla Procura delle “doppie annotazioni” prima sul povero capitano Testarmata, quindi sull’allora comandante del Nucleo Investigativo. A quanto pare senza riscuotere grande successo.
   


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