Crisi petrolifera. L'oro nero al centro delle tensioni internazionali. Intanto il prezzo sale e le economie soffrono
La perdita di produzione per l'attacco agli impianti di Saudi Aramco, in Arabia Saudita, rappresenta il più grande danno determinato da un singolo evento per i mercati petroliferi. Lo riporta Bloomberg. La perdita di 5,7 milioni di barili al giorno, il 5% della produzione mondiale, è superiore a quella nel 1979 con la rivoluzione iraniana e nel 1990 con l'invasione del Kuwait. Intanto Teheran respinge le accuse Usa: 'sono infondate, con l'attacco non c'entriamo'. Il petrolio avanza e le borse aprono in calo, ma volano i titoli del greggio.
l più grande impianto di stabilizzazione al mondo
Con una capacità di 7 mbg Abqaiq è il più grande impianto di stabilizzazione al mondo, secondo l’americana Energy Information Administration (Eia): qui il greggio saudita (prevalentemente quello di qualità leggere) viene desulfurizzato prima di essere inviato via pipeline alle raffinerie e ai mercati di esportazione, attraverso il terminal petrolifero di Ras Tanura (anch’esso il più grande del mondo) e quelli di Jubail e Yambu sul Mar Rosso.
La sua importanza strategica di recente è stata messa in ombra dalle minacce alle petroliere nello stretto di Hormuz, all’imbocco del Golfo Persico. Ma Bob Mc Nally, ex consigliere della Casa Bianca, oggi analista con Rapidan Group, poco tempo fa aveva messo in guardia dal non sottovalutare l’importanza cruciale dell’infrastruttura: un attacco contro Abqaiq «se avesse successo potrebbe interrompere per mesi la maggior parte della produzione saudita». L’impianto «è una vunerabilità sistemica che non può essere rapidamente riparata, rimpiazzata o aggirata».
I bombardamenti di ieri riaccendono peraltro le tensioni tra Stati Uniti e Iran, proprio ora che Donald Trump sembrava disposto a riprendere le trattative con Teheran: una relativa apertura, che sarebbe stata all’origine del licenziamento del falco John Bolton, ormai ex consigliere per la sicurezza nazionale.
l bombardamento – effettuato con dieci droni – è stato rivendicato dai ribelli filo-iraniani Houthi, che dal 2015 combattono in Yemen contro una coalizione militare a guida saudita. Alle prime ore dell’alba sono stati colpiti il secondo giacimento di petrolio del Paese, Khurais, in grado di produrre 1,5 milioni di barili al giorno, e il maxi-impianto di Abqaiq, nella Provincia orientale dell’Arabia Saudita, a 60 km dal quartier generale di Aramco a Dhahran. È quest’ultimo l’obiettivo più sensibile, già preso di mira dai terroristi di Al Qaida: l’attacco sferrato con due autobombe a febbraio 2006 fece una decina di morti, ma le forze di sicurezza saudite – a differenza di ieri – riuscirono a difendere l’integrità della struttura, in cui passano per una lavorazione preliminare due terzi dei barili di greggio estratti da Riad, che è responsabile del 10% delle forniture mondiali.
Gli Usa sono "pronti e carichi" per reagire agli attacchi contro Riad: lo twitta il presidente americano Donald Trump, precisando di attendere la conferma sulle responsabilità e le valutazioni dell'Arabia Saudita.
La Cina invita alla "moderazione" Stati Uniti e Iran dopo l'attacco di droni all'impianto della Aramco che ha avuto ripercussioni su metà della produzione petrolifera saudita. La portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha definito "non molto responsabile" accusare altri "in assenza di un'indagine o verdetto definitivo. "La posizione della Cina - ha dichiarato Hua in conferenza stampa - è che ci opponiamo ad ogni azione che possa ampliare e intensificare il conflitto".
Gli attacchi con i droni a due maxi raffinerie saudite rivendicati dai ribelli yemeniti Houthi allarmano il mercato mondiale del petrolio e aumentano le tensioni nel Golfo tra Teheran da un lato e Arabia Saudita e Usa dall'altro, proprio alla vigilia di un possibile storico incontro fra Donald Trump e il presidente iraniano Hassan Rohani all'Onu. "Non c'è alcuna prova siano arrivati dallo Yemen", ha sostenuto il segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha accusato direttamente l'Iran per questo "attacco senza precedenti alle forniture energetiche mondiali".
Ma neppure lui ha esibito prove, a parte il fatto che Teheran è alleata degli Houthi, combattuti in Yemen da una coalizione guidata da Riad. La Repubblica islamica ha comunque respinto le accuse e ha lanciato un monito a Washington. "Queste accuse ed affermazioni inutili e cieche sono incomprensibili e prive di senso", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mussavi, aggiungendo che esse servono solo a "giustificare future azioni" contro l'Iran. "Incolpare l'Iran non fermerà il disastro", ha twittato il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, contestando a Pompeo di aver fallito nella campagna di "massima pressione" e di essersi spostato su quella delle "massime bugie". Nelle stesse ore Amir Ali Hajizadeh, comandante delle forze aerospaziali dei Guardiani della rivoluzione islamica, ha avvertito che l'Iran è pronto ad una "vera e propria" guerra: "Tutti dovrebbero sapere che le basi americane e le loro portaerei fino ad una distanza di 2000 km intorno all'Iran sono nel raggio dei nostri missili". Intanto una nave da guerra statunitense, il cacciatorpediniere Uss Ramage, dotato di un sofisticato sistema missilistico guidato da radar, ha attraccato al porto di Beirut, in Libano, proprio all'indomani degli attacchi, mentre Trump ha offerto al principe ereditario saudita Mohammad bin Salman "il suo sostegno all'autodifesa dell'Arabia Saudita". Tutti segnali che preoccupano la comunità internazionale, a partire dall'Europa, dove una portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, ha ricordato che gli attacchi "pongono una minaccia reale alla sicurezza regionale" e minano "il lavoro in corso per la de-escalation e il dialogo". Sia Washington che Riad si sono dette pronte ad utilizzare le loro riserve strategiche di petrolio (rispettivamente di 630 e di 188 milioni di barili) per far fronte alle perdite della produzione causate dagli attacchi agli impianti del primo Paese esportatore di greggio al mondo: 5,7 milioni di barili al giorno, circa metà della produzione saudita, che copre il 10% delle forniture mondiali. Aramco sta lavorando alacremente per ripristinare la piena produzione ma secondo gli esperti occorreranno settimane, non giorni. E questo, anche se Riad ha assicurato che le esportazioni continueranno regolarmente in questa settimana per effetto delle riserve, potrebbe far schizzare verso l'alto il prezzo del petrolio, sino a 70 dollari al barile. Fiato sospeso quindi lunedì, quando è attesa la prima reazione alla riapertura dei mercati internazionali. La Borsa di Riad, primo mercato finanziario del mondo arabo, ha già perso oggi circa il 3% in apertura, prima di recuperare qualcosa. Gli attacchi hanno colpito al cuore il sistema economico saudita, mandando in fiamme il più grande impianto al mondo per il trattamento del greggio.
E hanno messo a nudo la vulnerabilità della maggiore società del Paese, l'Aramco appunto, proprio alla vigilia di quella che era stata prennunciata "l'Ipo del secolo", una quotazione voluta da bin Salman nel processo di privatizzazione e modernizzazione del Paese. I raid rimettono inoltre in discussione anche la prospettiva dello storico faccia a faccia fra Trump e Rohani, a margine dell'assemblea generale delle Nazioni Unite: "Non aiutano", ha sottolineato la consigliera della Casa Bianca Kellyanne Conway.